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ISO 9001:2015 Certificate number: IT331780
Nate viola, probabilmente in Asia Centrale, nell’odierno Afghanistan, circa 5mila anni fa, le carote hanno prosperato per millenni in Asia, Europa e Nord Africa, in un trionfo di colori. Dal viola al nero, dal rosso al giallo, fino all’arancione, diventato prevalente in età moderna, grazie a particolari innesti operati dai coltivatori olandesi. Costoro, secondo una ricostruzione storica molto suggestiva, ma scarsamente documentabile, avrebbero scelto il colore in omaggio a Guglielmo d’Orange e alla sua dinastia, capace di determinare l’indipendenza dei Paesi Bassi dalla dominazione spagnola. E proprio la rinomata pittura fiamminga e olandese, con le sue celebrate nature morte, documenta con chiarezza inequivocabile questo passaggio di consegne cromatico. Non pochi affreschi di epoca romana classica ci sono pervenuti, a testimonianza della loro diffusione in quei secoli, ma furono senza dubbio gli Arabi a reintrodurre stabilmente nell’alimentazione medioevale occidentale le carote, emancipatesi definitivamente in pieno Rinascimento.
La reputazione del nostro ortaggio, nonostante le crescenti evidenze empiriche in merito alle sue virtù dietetiche, è, tuttavia, misteriosamente, rimasta ‘in grigio’ fino ai nostri giorni, come attestano modi di dire che solo negli ultimi decenni hanno definitivamente assunto connotazioni bonarie. Ad esempio, ‘pel di carota’, riferito al colore rossiccio di pelle e capelli e titolo di un fortunato romanzo di Jules Renard. Una descrizione che, da iniziali sfumature ai limiti del razzismo, è passata ad indicare, con tratti di simpatia e tenerezza, particolari tipi umani, soprattutto in giovane età. O come la famosa espressione ‘usare il bastone e la carota’, nata in età imprecisata nel mondo anglosassone e acidamente usata da Winston Churchill in un celebre discorso, a suggerire la politica da tenere nei confronti dell’’asino’ italiano. Un’indicazione ‘programmatica’ all’origine di dure repliche mussoliniane. Oggi, a carote ormai cotte (altro diffuso modo di dire anglosassone), semplicemente una consolidata strategia educativa per bimbi particolarmente vivaci.
Sarà per il colore, ma una certa vivacità le carote la trasmettono in ogni ambito, tanto da regalare un inaspettato successo a un ritornello privo di senso che qualche anno fa ha scalato le classifiche musicali italiane.
Niente a che vedere con l’allegria trasmessa da Bugs Bunny, il coniglio più celebre di sempre, immortalato, in poster di tutto il mondo, intento a sgranocchiare una bella carota arancione. Posa ereditata da quella simile, ma meno nota, di Clark Gable, nel mitico ‘Accadde una notte’, di Frank Capra. Un’eccezione per il ‘grande schermo’, capace, generalmente, di regalare alle carote un appeal largamente incentrato sulle loro ben note virtù salutistiche e dietetiche.
Effettivamente alla base di regimi alimentari sani e fatalmente restrittivi, le nostre carote possono, in realtà, tranquillamente stimolare la gola di tanti, se cucinate in maniera un poco più ardimentosa, nell’ottica dell’eccezione che conferma la regola. Per tentare anche noi questa via, dobbiamo prepararci a percorrere molti chilometri. Le carote, come sempre prodotte in misura maggiore in Cina, sono infatti diffuse, nelle loro varie cromie, in tutto il mondo, e, a dire il vero, offrono esempi di creatività gastronomica che rimandano, spesso, ad aree geografiche lontane dalla nostra penisola.
Fatta salva la valenza universale di sano contorno in versione cruda, o più spesso cotta (al vapore, al forno, alla griglia), avventuriamoci, quindi, in una disamina, solo orientativa, di alcune declinazioni gastronomiche originali del gustoso ortaggio.
Kinpira di bardana e carote
Antico piatto giapponese che ricerca effetti drenanti sul nostro organismo. Prevede un taglio e una cottura particolari della radice lunga di queste piante, ed è arricchito, tra l’altro, da sesamo, zenzero, salsa di soia. Dopo tanti aromi ci sentiamo di rilanciare con un bianco da uve Gewurztraminer, replicando un abbinamento frequente in questa rubrica.
Crema di carote, zenzero, kumquat e shiso
Gli ultimi due ingredienti sono l’equivalente orientale dei nostri mandarini e basilico, ma con profumi sostanzialmente diversi. Come vino, cambiamo solo un poco, passando al Riesling.
Marmellata di carote
In Iran viene aromatizzata al cardamomo e servita con pane e formaggio fresco. Il tutto accompagnato da una tazza del locale tè nero.
Khizou Mchermel
Tagliando corto, potremmo chiamare questo piatto ‘carote alla marocchina’, con tutto il bendidio speziato che ne consegue, dal cumino alla paprika, al coriandolo tritato. Inseguendo fino in fondo la suggestione territoriale, beviamo un vino da uve vermentino. Certamente non il migliore abbinamento gusto-olfattivo, ma ci togliamo la curiosità di un confronto diretto con i tanti esemplari nostrani.
Gazpacho di carote
Tra i testimoni universali della gastronomia spagnola, questo piatto si fa apprezzare per una certa originalità, anche in questa versione laterale, con le carote. Un Verdejo, grazie ai suoi aromi di erba e melone, ci sembra un abbinamento perfetto.
Carote alla scapece
Italianissima versione di un contorno a base di carote, si cucina soprattutto in Campania e in Basilicata. In questa seconda regione si producono vini aromatici, ma non dolci, a base di malvasia, che potrebbero fare decisamente al caso nostro.
Soufflè di carote
In questo numero abbiamo escluso la grande cucina cinese. Farlo anche con la francese sarebbe troppo. Presa per i capelli, citiamo questa ricetta ‘multi face’ e sublimiamola con un sauvignon blanc della Loira.
Hummus di carote viola
Anche l’Italia ha le sue carote viola, quelle di Polignano, presidio slow food, alla base di una versione nostrana del celebre piatto mediorientale. In omaggio al territorio stappiamo un bombino bianco spumantizzato.
Riso alle carote iraniano
Risotti italiani con le carote se ne trovano, qua e là, ma preferiamo rimanere in questa turbolenta zona del mondo e proporre la varietà basmati, calata in una ricetta tendente all’agrodolce, con un felice matrimonio tra cipolle, cannella, frutta secca e un poco di zucchero. Forse un Albana di Romagna non si fa spaventare da tanta complessità aromatica.
Trenette al pesto di carote
Sulla versatilità del pesto per la Liguria, si può rimandare a quanto già considerato in merito al gazpacho per la Spagna. Coerentemente beviamo un Pigato.
Carote gratinate al forno
Ricetta prevalentemente piemontese, ma con varianti diffuse, come quella ‘ammollicata’ calabrese, pur prevedendo abbondante parmigiano e burro, ci consolida su un bianco, sebbene rustico e strutturato, come il Timorasso.
Stufato di sedano e carote al vino rosso
Forse una leggera forzatura gastronomica, ma senza dubbio da tollerare. Ovviamente beviamo lo stesso vino usato in cucina.
Purpetta e pastinaca di San Valentino Torio
Invocando una piccola licenza glocal addentiamo queste polpette, realizzate con una carota tipica del piccolo comune salernitano. Qui se ne mangiano a quintali in una celebre sagra. Il clima di festa ci fa propendere per un bianco (ma per chi vuole anche un rosso) spumantizzato, tra i tanti esempi che la nostra regione è ormai in grado di offrire.
Carrot and swede mash
Alla lettera un miscuglio di carote e rape svedesi. Di fatto, una sorta di caldo purè da abbinare al mitico Haggis scozzese. In Gran Bretagna di carote se ne producono e consumano tante. Quanto a questo tipo di rape, si confondono con il nome della nazione di provenienza. Non accade lo stesso a noi, che puntiamo decisi su uno strutturato Barbera d’Alba, non raramente un vino da scudetto.
Brasato di manzo con miso, daimon e carote kinpira
Il Giappone va a quota tre, con questa raffinata versione di un brasato di manzo. Alle carote già incontrate prima si abbinano un insaporitore a metà tra legume e cereale, come il miso, e il delicato ravanello invernale nipponico. Ci sembra giusto omaggiare il tutto con un buon Bordolese, da scegliere, più che altro, in relazione alla disponibilità economica del momento.
Palau-i-Shahee
Siamo in Afghanistan e il piatto in questione è uno stufato, generalmente di agnello, con riso. La guarnigione di carote, tagliate alla julienne, è, tuttavia, assai consistente. Beviamo un Teroldego Rotaliano, rosso trentino di buona struttura, ma con una gradazione alcolica contenuta.
Tzimmes
Forse il più identitario tra i piatti della rubrica odierna, è, ironia della sorte, una ricetta yiddish, e, quindi, transnazionale. Volendo circoscriverlo, lo diremmo figlio della tradizione ebraica dell’Europa Centro Orientale. Trionfo dell’agrodolce, visto il forte accompagnamento che alle carote viene tributato da prugne e frutta secca, è consumato a Capodanno come cibo propiziatorio di futuri guadagni, un po' come le nostre lenticchie. La sua etimologia rimanda al concetto di prosperità economica, ma anche di caos, ed effettivamente, l’effetto dei tanti ingredienti che lo compongono è un po' questo. Si tratta, tuttavia, di un piatto bellissimo da vedere, mentre mangiarlo si annuncia come un’esperienza di condivisione e di identificazione culturale notevolissima. Per quanto riguarda il vino, chiedere all’ebreo ashkenazita che ci accompagna se e cosa bere.
Plumcake alle carote
Semplice e colorato dolce mattutino, precede, vista l’ora, una tazza di caffè. Lungo o corto, fate voi.
Carrot cake
Tipica torta di carote angloamericana, con noci e formaggio, diffusa in tutto il mondo, con molte varianti. In Italia si può accompagnare benissimo a un Moscato d’Asti.
Bolo de Cenoura
Dolce brasiliano, caratterizzato dalla presenza del cacao. Per il vino, da pacificatori, rivolgiamoci agli ex colonizzatori e stappiamo un Porto. Anche qui, come per il Bordeaux, la scelta la fa il portafoglio.
Ettore Zecchino
La carota (Daucus carota) è una pianta erbacea, dal fusto di colore verde, appartenente alla famiglia delle Apiaceae. Presenta una radice carnosa che, nel secondo anno, sviluppa un fusto eretto e ramificato, con foglie verdi profondamente divise e villose, alterne e frastagliatissime. Ha grandi ombrelle di forma globulare, composte da ombrellette, costituite da raggi di diverse lunghezze. Queste sono a loro volta formate da fiori piccoli, bianchi o rosei, in ombrella a cinque petali. Il fiore centrale è, invece, rosso scuro. L’infiorescenza presenta grandi brattee giallastre, simili alle foglie, con il fusto che raggiunge i 40-90 cm. Nei fiori sono presenti delle piccole ghiandole profumate che attirano gli insetti. Le infiorescenze, dopo la fecondazione dei fiori, si chiudono a nido d’uccello. I frutti sono dei diacheni, irti di aculei, che aiutano la disseminazione da parte degli animali. La radice è lunga, a fittone, di forma cilindrica, lunga 18–20 cm, con diametro intorno ai 2 cm. Le carote, pur prediligendo un clima non troppo caldo, si adattano a tutti i climi. Sono invece più esigenti riguardo al tipo di terreno, preferendolo soffice e sciolto, con sgrondo d’acqua.
Sono diverse le varietà di carote coltivabili, dalle classiche arancioni a quelle nero-violacee.
Più nel dettaglio, abbiamo:
Carota Nantese: di forma cilindrica, con interno senza cuore e tendenzialmente priva di colletto.
Carota Kuroda: varietà precoce, con radice dolce e tenera.
Carota Berlicum: caratterizzata dalla radice molto lunga.
Carota Flakkee: resistente al calore, di grande dimensione e a punta allungata.
La principale sostanza di cui la carota è ricchissima è il betacarotene, un pigmento naturale, precursore della vitamina A. Esso svolge un ruolo importante nella formazione e nel mantenimento della pelle, dei tessuti cartilaginei e delle mucose, tra cui quelle dei polmoni, della bocca e del naso. Interviene, inoltre, nel processo visivo, proteggendo la retina (1). Aumenta la resistenza contro le infezioni e interviene nei processi di smaltimento delle tossine da parte del fegato. I carotenoidi, come la vitamina A, stimolano la produzione di linfociti T, globuli bianchi nel sangue che fungono da spazzini a difesa dell’organismo. Il betacarotene svolge, infine, un’azione antiinfiammatoria (2), poiché contrasta i radicali liberi, che sono la principale causa dei danni cellulari nell’organismo.
Oltre al betacarotene, la carota contiene discrete quantità di vitamina C, o acido ascorbico. Essa interviene in numerosi processi biochimici che producono effetti benefici sull’organismo. Favorisce, ad esempio, l’assorbimento del ferro e il suo trasferimento alla ferritina, ha un potere antiossidante ed è uno dei principali agenti che proteggono l’organismo contro le ossidazioni provocate da alcuni radicali liberi. Interviene, infine, nella biosintesi del collagene, della carnitina e nell’attivazione di ormoni peptidici.
La carota contiene anche una discreta quantità di vitamine del gruppo B, in particolare B1, B2 e B6. Quest’ultima entra in gioco nella produzione di anticorpi contro le infezioni e nella formazione dei globuli rossi ed è fondamentale nel metabolismo delle proteine.
La carota possiede, tra l’altro, un buon apporto di fibre alimentari, che regolano le funzioni intestinali e un’elevata quantità di sali minerali, tra cui sodio, potassio, calcio, ferro, fosforo, zinco, magnesio e manganese. Questi ultimi aiutano a stabilizzare il livello di zucchero nel sangue e a ridurre il sovrappeso legato al diabete.
Nella carota sono inoltre presenti due poliacetileni, chiamati falcarinolo e falcarindiolo (3), con varie attività biologiche benefiche. Secondo recenti ricerche sembra che queste sostanze, se assunte a basse concentrazioni, svolgano un’azione benefica nella riproduzione e differenziazione cellulare e nell’inibizione della proliferazione di cellule tumorali (4).
La carota è consigliata anche per alleviare le gastriti e le enterocoliti, e nei casi di ulcere gastroduodenali, grazie alle sue proprietà cicatrizzanti, ma migliora anche le digestioni lunghe e difficoltose e aiuta l’espulsione dei gas intestinali.
Le carote non hanno particolari effetti collaterali. Un consumo eccessivo potrebbe però portare a carotenosi, una particolare situazione in cui il betacarotene, eccessivamente immagazzinato nel nostro organismo, conferisce alla nostra pelle un particolare colorito giallastro sui palmi delle mani e le piante dei piedi.
1)VITAMIN A AND DAUCUS CAROTA ROOT EXTRACT MITIGATE STZ-INDUCED DIABETIC RETINAL DEGENERATION IN WISTAR ALBINO RATS BY MODULATING NEUROTRANSMISSION AND DOWNREGULATION OF APOPTOTIC PATHWAYS
Ahmed A El-Mansi, M A Al-Kahtani, Ahmed M Rady, Eman A El-Bealy, A M Al-Asmari.
2)ANTI-INFLAMMATORY POTENTIAL OF BLACK CARROT (DAUCUS CAROTA L.) POLYPHENOLS IN A CO-CULTURE MODEL OF INTESTINAL CACO-2 AND ENDOTHELIAL EA.HY926 CELLS
Senem Kamiloglu, Charlotte Grootaert, Esra Capanoglu, Ceren Ozkan, Guy Smagghe, Katleen Raes, John Van Camp.
3)BIOACTIVE C₁₇-POLYACETYLENES IN CARROTS (DAUCUS CAROTA L.):CURRENT KNOWLEDGE AND FUTURE PERSPECTIVES
Corinna Dawid, Frank Dunemann, Wilfried Schwab, Thomas Nothnagel, Thomas Hofmann.
4)DIETARY POLYACETYLENES, FALCARINOL AND FALCARINDIOL, ISOLATED FROM CARROTS PREVENTS THE FORMATION OF NEOPLASTIC LESIONS IN THE COLON OF AZOXYMETHANE-INDUCED RATS
Morten Kobaek-Larsen , Rime B El-Houri , Lars P Christensen , Issam Al-Najami , Xavier Fretté , Gunnar Baatrup.
Maddalena Pizzulo - nutrizionista
Nato certamente prima della gallina, l’uovo per antonomasia è, come i suoi consimili di quaglia, oca, anatra, struzzo, un protagonista antico nell’alimentazione del ‘sapiens’. Ridurlo ad un cibo sarebbe, tuttavia, culturalmente grossolano, considerati gli svariati simbolismi che ha suscitato presso tutte le civiltà. Punto in comune, indubbiamente, è il concetto della nascita, spesso riferito alla Primavera, e, soprattutto in epoca cristiana, della rinascita. Non sorprende, di conseguenza, l’accostamento alla Pasqua, modernamente addolcito dall’aggiunta del cioccolato, ma sempre in grado di sancire una linea di continuità tra le varie epoche storiche. Molte mitologie, ad ogni latitudine, vedono infatti nell’uovo l’archetipo della ‘Madre Terra’. La sua peculiare ‘funzione’ biologica e la sua caratteristica forma geometrica hanno inoltre sempre concorso ad attribuirgli un collegamento con il divino, o almeno, con i misteri alchemici. Per non parlare della valenza magica che lo ammanta in diffuse leggende medioevali, come quella del napoletano ‘uovo di Virgilio’, paradigma tra i più noti di una forza salvifica legata a questo misterioso incubatore della vita.
Nel più prosaico, ma non meno vitale settore alimentare, il primo ‘impatto sociale’ è storicamente collegabile alle antiche civiltà asiatiche, probabilmente le prime ad addomesticare la gallina, e, a quelle persiana ed egiziana, grandi consumatrici dell’alimento. Agli Egizi, in particolare, risalgono, secondo autorevoli fonti romane (Diodoro Siculo e Varrone), allevamenti intensivi di galline chiamate a produrre uova. Una pratica presto estesa ai Greci e ai Romani, come si evince dalla lettura delle raccomandazioni dietetiche di Galeno, così come dalle ricette di Gavio Apicio. Quanto ai coevi Cartaginesi, sembravano prediligere le più grandi uova di struzzo.
Proprio a questo particolare uccello appartiene uno degli esemplari più famosi nella storia dell’arte, luminosamente calato a mezz’aria nella ‘Pala della conversazione’, di Piero della Francesca, che aggiunge al simbolismo classico della generazione vitale, quello più specificamente morale, della purezza, riferita alla Vergine, protagonista dell’opera. Un dipinto che, tuttavia, assegna all’uovo anche una valenza geometrico-spaziale e prospettica, in grado di dare una precisa dimensione alla scena. Siamo ormai nel Rinascimento e il nostro alimento ha già alle spalle qualche millennio di rappresentazioni, dalle sculture egizie ai mosaici romani, fino alle tele medievali in rosso-passione-sofferenza, nelle mani di una tipizzata Maddalena. Un’evoluzione destinata a proseguire, attraverso il realismo simbolico fiammingo e la pittura di genere, come la magistrale pennellata di un giovanissimo Diego Velazquez nella ‘Vecchia che frigge le uova’, fino ad interessanti ‘nature morte’. L’approccio simbolico, o se si vuole concettuale, ha, tuttavia, avuto sicuramente la meglio nel lungo termine, se guardiamo alle suggestioni surrealiste di tanti quadri a tema firmati da Renè Magritte o da un Salvator Dalì ossessivamente coinvolto dall’uovo. Quanto alla scultura, viene in mente il contemporaneo Jeff Koons, mentre un posto a parte e un passo indietro merita la sontuosa collezione di preziose uova matrioska commissionate per decenni al russo Peter Carl Fabergè dagli zar Romanov.
Le uova, citate in tanta poesia e narrativa mondiale nel corso dei secoli, hanno conquistato una notevole ribalta anche nelle arti contemporanee. Basti pensare agli studi fotografici dello statunitense Man Ray o alle avveniristiche architetture che le riproducono in varie parti del mondo, firmate, a turno, da alcuni tra i maggiori autori del nostro tempo. Insomma, una forma antica, ma mai invecchiata, che ha quindi potuto fare il suo ingresso in grande stile anche nella settima arte. Presente, non sempre da reale protagonista, sin nei titoli, in molti film (dai classici ‘Io e l’uovo’ e ‘La morte ha fatto l’uovo’ a contemporanei, come ‘Ovosodo’), deve, tuttavia al ruolo in cucina la sua diffusione capillare nella cinematografia, soprattutto anglosassone. Citarle tutte sarebbe impossibile, ma spopolano le imitazioni di ricette a base di uovo preparate e consumate in film di tutto il mondo. Senza per questo dimenticare la sua scontata apparizione in filoni di successo, come la fantascienza, che li collega a draghi, rettili giganteschi, impressionanti alieni. E qui citare ‘Alien’ e ‘Godzilla’ rende bene l’idea.
Venendo all’arte culinaria, prediletta da questa rubrica, avvisiamo che la quantità di ricette possibili è talmente ampia da imporre accorpamenti e semplificazioni, senza però omettere citazioni particolarmente esotiche e audaci, come quelle provenienti dal lontano Oriente. D’altra parte, se la Cina è il maggiore produttore mondiale di uova, come al solito facendo il vuoto intorno a sé, il terzo gradino del podio è occupato dall’India e il quarto dal Giappone. A sancire un predominio asiatico, di cui è impossibile non tenere conto.
Ovviamente ci riferiremo (quasi) esclusivamente a ricette che vedono l’uovo come protagonista diretto. Altrimenti, tra salse, paste, rustici, dolci gelati e molto altro, non basterebbe un libro!
Balut
Piatto tipico delle Filippine, ma diffusissimo in tutto il Sud-Est Asiatico, dal Vietnam, al Laos, alla Cambogia, fino alla stessa Cina, potrebbe apparire ‘crudele’ o ‘ripugnante’ per molte sensibilità occidentali. Si tratta, infatti, di un uovo di anatra o di gallina, da poco fecondato e consumato con l’embrione già sviluppato, ma non ancora pronto alla vita ‘esterna’. A quelle latitudini è considerata, da sempre, una prelibatezza tra gli street foods, ma negli ultimi anni ha varcato la soglia dell’alta cucina. Il sapore, lapalissianamente a metà tra pollo e uovo, virerebbe verso il cremoso, e, in alcuni casi, il ‘budinoso’. Secondo alcuni ‘provocatori’, ricorderebbe il foie gras (forse non casualmente altra ricetta ‘brutale’). Sospendiamo il giudizio. In futuro si pasteggerà con un Sauternes? Il dilemma oscilla tra l’etico e l’estetico!
Uovo centenario
Ci trasferiamo in Cina, e, abbandonando l’etica, ci riattacchiamo all’estetica, per introdurre un’altra versione esotica del nostro alimento. La ricetta, originaria dello Hunan, risalirebbe all’epoca Ming, quando un contadino, accortosi casualmente della buona conservazione, sotto calce spenta, di un uovo d’anatra, dimenticato per due mesi, decise di insaporirlo con un pizzico di sale. E di replicare il procedimento, anche aumentando i tempi di conservazione, fino a tre mesi. Ne nacque una tradizione, affinata nei secoli con nuove soluzioni di dettaglio, ma cristallizzata nelle sue basi strutturali. Il colore è ambrato molto scuro, mentre il sapore pare sia quello di un uovo sodo, ma molto accentuato. Un alimento, quindi, lontanissimo dagli standard, anche cromatici, occidentali. Prodotto a suo modo geniale per il metodo di preparazione-conservazione dell’alimento, forse non è abbinabile enologicamente, a causa della sua natura iper-alcalina e iper-fermentata.
Uova al tè
Altro cibo da strada cinese, questa volta solo moderatamente esotico. Il gusto è infatti particolarmente delicato e richiama, almeno in parte, una bevanda nota e apprezzata anche in Occidente. Probabilmente conviene prolungarlo, bevendola.
Uova sode morbide giapponesi
Qui cominciano gli ‘accorpamenti’. Il piatto in questione, infatti, suona ed è familiare. In Giappone sono più morbide e speziate, e, spesso, sussidiarie a zuppe di riso. Ma sempre di uova sode si tratta. Per questo, rispetto agli esemplari nostrani, può cambiare solo l’abbinamento enologico, che, in questo caso punta decisamente sullo speziato, magari quello di un buon Sylvaner.
Uova sode al curry
A proposito di accorpamenti, ecco una piccantissima interpretazione indiana dell’uovo sodo. Proviamo un Gewurztraminer.
Bastoncini di fittata croccanti
Eccoci al cospetto di un altro piatto ‘universale’ a base di uova. In questo street food indiano, la caratteristica forma a bastoncino e l’impanatura dorata della frittata ci portano verso le bollicine di un Trento Doc, particolarmente utili a sgrassare il palato e a tenere testa alle numerose spezie utilizzate.
Crostini di caviale beluga Almas
Piccolo fuori campo, ma sempre a tema. Del resto, siamo al cospetto di un piatto per i più destinato a rimanere virtuale. Le uova sono infatti estratte dal beluga albino Almas (diamante, in persiano), lo storione iraniano più famoso e costoso del mondo. Per i pochissimi fortunati, ‘‘Camerieri, Champagne’’.
Shakshuka
Siamo in Tunisia. Come dire, soprattutto in questi tempi, l’Africa di casa nostra. Vicino a noi è anche questo piatto, che affonda letteralmente le uova in un letto di pomodoro, peperoni e altre verdure, più o meno di stagione. I puristi non concorderanno, ma proviamo senza indugio un esuberante Syrah, derivante da uve ‘cotte’ sotto il sole punico.
Huevos rancheros
Cambiamo continente, ma variamo di poco. In questa robustissima colazione classica contadina messicana di metà mattina, alle verdure si aggiungono infatti fagioli, tortillas di mais e salsicce piccanti. In questo caso non proviamo rimorsi per la scelta di un locale Grenache.
Eggs and bacon
Tra le più frequenti colazioni cinematografiche, crediamo che ‘avvicini’ Hollywood alla vita reale. E non ci sembra un grande affare per la fabbrica dei sogni! A colazione, un caffè lungo. A pranzo, un Gamay dell’Oregon.
Uovo alla Benedict
Nonostante le misteriose origini, in bilico fra tre o quattro storie diverse, dai Benedettini a Wall Street, è un piatto da brunch per eccellenza. Molto bello da vedere, consiste, nella sua versione originaria, in muffins rustici sui quali viene adagiato un uovo in camicia, irrorato di salsa olandese e guarnito con prosciutto e/o pancetta canadese. L’ideale, forse, è un rosato. E diamo fiducia alla volenterosa enologia statunitense extra-californiana.
Scotch eggs
Questa volta in Europa entriamo dal nord, addentando queste ipercaloriche polpette di salsiccia e uova, che sottraiamo alle pur ottime birre locali, a beneficio di un nostro Taurasi. Il tannino, qualche volta, lo esigono anche le uova!
Uova alla tedesca
Ricetta che, con poche varianti, ma con molti nomi, accomuna Germania, Austria e tutta l’area dolomitica. Ha il suo fulcro nella felice e robusta combinazione tra uova strapazzate e patate. Ottimo l’abbinamento con uno dei tanti bianchi aromatici delle regioni vinicole coinvolte.
Quiche Lorraine
Classica torta rustica della cucina francese, che ha nell’uovo un ingrediente importante, accanto a burro, panna, formaggio, prosciutto o pancetta e altro ancora . Anche qui vince l’abbinamento territoriale, tanto più che i confinanti riesling alsaziani sono, generalmente, più strutturati di quelli tedeschi.
Uovo in cocotte
Raffinata cottura nel grazioso recipiente omonimo, cosparso di burro. Un sentore che dovrebbe replicarsi nei migliori Chardonnay di Borgogna.
Uovo alla coque
Cottura rapidissima per una preparazione diffusissima nel mondo. Il tuorlo liquido si consuma con il cucchiaio, dopo il classico rituale della rottura del guscio. Ancora un bianco, ma più delicato.
Omelette
Variante francese della frittata (e viceversa). Un po' più cruda e ‘tecnicamente’ burrosa. Nella sua versione basica, spumantizziamo con un Cremant d’Alsace AOC.
Tortilla di patate
Terza versione di un piatto simile. Siamo in Spagna e le patate quasi primeggiano, mentre lo spessore volumetrico si impenna. Come il grado alcolico del vino che scegliamo: un Jerez Fino, bianco, ma con la forza di un rosso.
Huevos a la Flamenca
Ennesima versione di un piatto tipico mediterraneo. La significativa presenza di prosciutto e salame, accanto a pomodori, piselli, cipolle e altre verdure, ci fa optare, convinti, per un rosso. Rimaniamo in Spagna, ma lasciamo l’Andalusia, per bere un Rioja, magari da uve tempranillo.
Frittata
Ricetta nazionale, già incontrata in altre occasioni. In questo caso, complice il ricordo di uno straordinario elogio della frittata materna da parte di un Rocco Papaleo in stato di grazia nel film ‘Basilicata coast to coast’, da lui anche diretto, per l’abbinamento, confermiamo le bollicine, ma andiamo a sud. Precisamente, nel premiato distretto di San Severo, in Puglia, dove le uve Bombino bianco e Trebbiano sono spumantizzate con crescente successo.
Uovo fritto alla valdostana
Dici Valle d’Aosta e dici fontina. La sua presenza ci consente di tornare a un rosso, ma non troppo strutturato, come quelli di altura, eroicamente realizzati in questa regione.
Uovo fritto in fonduta con tartufo
Ottimo sia con sua maestà il bianco di Alba o di Acqualagna, sia con il ‘proletario’ appenninico nero. Siamo condotti sulle vette enologiche italiane, dalle parti del nobile nebbiolo.
Uovo alla Bismarck con asparagi
Intitolato al cancelliere tedesco, ghiotto di uova e celebrato e un po' parodiato per il suo smodato appetito, è un piatto in realtà quasi dietetico e molto in voga nella Milano da bere. Per questo, apriamo un bianco di San Colombano al Lambro, autenticamente lombardo.
Pizza pasqualina
Risposta ligure alla Quiche Lorraine, ha la Pasqua stampata nel nome, ma si può mangiare anche in picnic a Pasquetta, badando a non far riscaldare troppo l’Ormeasco Rosato, con i quale la accompagniamo.
Uova sode all’insalata
Categoria iper-generica, nella quale, un po' forzando, includiamo le versioni russa, nizzarda e simili. In Liguria optiamo per il Condiglione e beviamo un Pigato Doc.
L’uovo in raviolo
L’eccezione conferma la regola. Ci concediamo, quindi, una creazione da chef, il ‘must’ di uno dei più importanti artisti italiani della cucina. Siamo dalle parti della fonduta di cui sopra, ma con il valore aggiunto di una grande firma della cucina mondiale. La sontuosità del piatto merita un acuto enologico. Ce lo può garantire un bicchiere di Albana di Romagna del nuovo corso, lievemente e raffinatamente dolce.
Uovo alla fiorentina
Questa volta le uova, sin dai tempi di Caterina de’ Medici, sono adagiate su un letto di spinaci. Piatto semplice, ma double face. In base alla preparazione può infatti essere servito come antipasto o come secondo. Nel primo caso, scegliamo un Trebbiano toscano, nel secondo caso, un leggero Chianti dei Colli Fiorentini.
Stracciatella in brodo
Tipico dell’Italia Centrale, è un piatto brodoso, che riscalda anche per quel profumo inconfondibile di ‘nonna’, che a volte sa emanare. Da piccoli ovviamente non si beve, ma, essendo cresciuti, proviamo con un Verdicchio di Matelica.
Spaghetti alla carbonara
Superclassico della cucina romana, con uova, guanciale e pecorino, ma, in un certo senso, non del tutto romanesco. Evoca infatti suggestioni e contributi da melting pot post-bellico, forse non strettamente capitolino. Marchiamo, comunque, il territorio, con un vino bianco dei Castelli, ormai garanzia di qualità.
Palotte cacio e ova
Autentico pilastro della cucina contadina abruzzese, forse anticipatrice di svariati classici della tradizione culinaria italiana. Si accompagna bene al Trebbiano d’Abruzzo, un ‘contadino’ decisamente evoluto. Quando la preparazione è molto sugosa, si può invece optare per un giovane Montepulciano d'Abruzzo.
U funnateglie
Siamo in Molise e basterebbe il nome a far ‘mangiare’ questo piatto, che richiama l’imprescindibilità di una ‘scarpetta’, resa ancora più golosa dalla bontà del pane casereccio di queste zone. Ai soliti pomodori e peperoni si aggiungono delle piccole salsicce, ma conservate sotto sugna (una peccaminosa rarità). Consapevoli di stare su un campo minato, chiudiamo la parentesi con un rosso della Doc Biferno.
Uova strapazzate con peperoni cruschi
Ricetta lucana e delle aree interne campane, è un trionfo di colore rosso-giallo. Il gusto non è da meno. Suggeriamo ancora un rosato, magari da uve aglianico.
Uovo sbattuto
Sfiniti da un percorso così lungo, eppure altrettanto lacunoso, proviamo a rinfrancarci con l’energizzante più in voga nella nostra infanzia. Naturalmente, liscio e solo con uova fresche e rigorosamente biologiche.
Da adulti si apprezza maggiormente uno zabaione, oppure un tiramisù, ma, se si vuole ottenere il risultato sperato, non a fine pasto e senza abbinamenti alcolici.
Ettore Zecchino
L'uovo è costituito essenzialmente da guscio, tuorlo e albume. Il guscio (dalla tipica forma ovale) è una struttura mineralizzata, con uno spessore medio complessivo di 0,35 mm. Esso è composto da:
Cuticola: rappresenta lo strato più superficiale, dello spessore di circa 10 micron, formato da una particolare proteina, analoga al collagene; è lo strato che protegge l’uovo da eventuali contaminazioni microbiche e che è fondamentale mantenere intatto, evitando gli sbalzi termici
Strato spugnoso (spongiosa): è costituito da cristalli di calcite molto fini, che costituiscono i 2/3 della parte calcarea del guscio. Ha una struttura porosa ed è proprio grazie a questa che è assicurato lo scambio di gas tra esterno e interno ed è interdetto il passaggio dei liquidi.
Strato mamillare: è costituito da cristalli di calcite ancora più fini (con un diametro di 10-15 micron) e costituisce 1/3 della parte calcarea del guscio.
Membrana testacea esterna: si tratta di una lamina leggermente elastica e biancastra (con struttura fibrosa, tipo collagene) che riveste internamente lo strato mamillare. Ha uno spessore di circa 50 micron e possiede fibre brevi e spesse, poste in almeno 6 piani e orientate ad angolo retto, tra piano e piano. L’albume (o bianco d’uovo) non è omogeneo e al suo interno si individuano due strutture cordoniformi (calaze o legamenti dell’albume) e diversi strati.
Calaze superiori: si tratta di due strutture cordoniformi, avvolte e ritorte su sè stesse, che collegano il polo della membrana testacea interna del guscio (mediante mucine) allo strato di albume calazifero che avvolge il tuorlo ed hanno la funzione di tenere quest’ultimo allineato e sospeso tra i due poli.
Calaza inferiore: si tratta di una struttura cordoniforme, avvolta e ritorta su sè stessa, che collega il polo della membrana testacea interna del guscio (mediante mucine) allo strato di albume calazifero, che avvolge il tuorlo, mantenendolo allineato e sospeso tra i due poli.
Strato di albume liquido esterno: è uno strato sottile, di consistenza fluida, quasi assente in corrispondenza dei poli acuto e ottuso.
Strato di albume denso (gelatinoso): è lo strato più denso, che si prolunga dal polo acuto al polo ottuso della membrana testacea interna. La consistenza densa è dovuta al fatto che è molto ricco in ovomucina.
Strato di albume liquido interno: è uno strato sottile, di consistenza fluida.
Strato di albume calazifero: è lo strato più interno, a contatto con il tuorlo.
Il tuorlo (o rosso d’uovo) è la parte più ricca di nutrienti.
Membrana vitellina: è la membrana che avvolge il tuorlo. Ha una struttura complessa e molto resistente. In linea di massima, le sue parti più esterne sono abbastanza simili all’albume, mentre quelle più interne somigliano al collagene.
Vitello: rappresenta la componente maggiore del tuorlo. E’ strutturata in due porzioni, facilmente distinguibili: il vitello bianco e il vitello giallo, che, a sua volta, è strutturato in tante sfere cave, incluse una dentro l’altra e denominate tuorlo chiaro e tuorlo scuro o tuorlo profondo. Tra queste sfere cave, che compongono il tuorlo chiaro e il tuorlo scuro, ci sono granuli dispersi in una fase continua, denominata plasma.
Disco germinativo: è una piccolissima parte del tuorlo. Nel caso in cui l’uovo non sia stato fecondato, il disco germinativo è costituito da citoplasma incolore e dal nucleo femminile in degenerazione; il suo diametro è di circa 3,5 micron. Nell’uovo fecondato consta, invece, di una massa di 40.000-60.000 cellule, derivate dalla divisione ripetuta dello zigote e prende il nome di discoblastula o blastoderma. Appare come un dischetto di colore grigio chiaro, del diametro di 4 mm, che riposa sulla componente bianca del vitello.
Nucleo di Pander: è una specie di cuscinetto, formato dal primo strato di tuorlo chiaro, sottostante il disco germinativo. Si estende fino al centro del tuorlo, formando la Latebra di Purkinje.
Latebra di Purkinje: è l’estensione del Nucleo di Pander, che parte dal disco germinativo e raggiunge il centro del tuorlo, dove si accumulano le sue materie grasse.
La principale qualità delle uova è il contenuto di proteine nobili dall’alto valore biologico, complete cioè degli aminoacidi essenziali che vengono impiegati dal nostro corpo per il mantenimento e la costruzione delle strutture cellulari. (1) Contengono sali minerali e vitamine. Sono ricche di ferro, componente fondamentale dell'emoglobina, la proteina che trasporta l'ossigeno dai polmoni al resto del corpo, e della mioglobina, la proteina che rifornisce di ossigeno i muscoli. Contengono fosforo, utile alla salute di ossa e denti, e calcio, fondamentale per la contrazione muscolare, oltre che per il benessere delle ossa. Per quanto riguarda le vitamine, sono un’ottima fonte di vitamina K, anch’essa utile per le ossa, e vitamine del gruppo B, in particolare di vitamina B12, importante per il metabolismo di carboidrati, grassi e proteine e la vitamina D, fondamentale per le ossa e per il buon funzionamento del sistema immunitario. Ottimo anche il contenuto di vitamine A ed E, che svolgono un'azione antiossidante. Contengono poi, nel tuorlo, la colina, che favorisce la pulizia del fegato e migliora le prestazioni del sistema nervoso. Infine, sono ricche di luteina e zeaxantina, antiossidanti che svolgono un'azione efficace nell'impedire malattie come la degenerazione maculare.(2)
I grassi costituiscono circa il 10% del contenuto dell'uovo. La metà di questi è costituita da acido oleico, acido palmitico, acido stearico e, in minor misura, acido linoleico. Tra gli acidi grassi polinsaturi troviamo gli omega 6, mentre gli omega 3 sono presenti in minori quantità, entrambi fondamentali per il buon mantenimento delle membrane cellulari. Infine, le uova garantiscono una certa protezione del sistema cardiovascolare e di pulizia dei vasi sanguigni, data la presenza della lecitina, che contribuisce ad allontanarne l’eccesso dal torrente circolatorio, contribuendo a prevenire patologie aterosclerotiche.
Le uova possono essere assunte senza grossi problemi, tranne che per alcune eccezioni. In caso di allergia accertata all’uovo, occorre naturalmente evitarne del tutto l’uso. Soggetti affetti da colite devono ridurne il consumo e preferire cotture brevi e digeribili, mentre in presenza di calcoli biliari l’uovo va escluso perché la colecistochinina, presente nel tuorlo, stimola la contrazione della colecisti, determinando la formazione di coliche. Nei casi di gastrite, duodenite e ulcere gastriche, le uova non vanno totalmente eliminate, ma limitate, evitando forme di cottura elaborate. Bisogna inoltre fare attenzione alla cottura perché l’albume va cotto bene per disattivare l'avidina, una proteina che riduce l’assorbimento di alcune vitamine. Il tuorlo, al contrario, andrebbe cotto poco, perché ricco di acidi grassi, sensibili alla temperatura.
1)THE HEALTH BENEFITS OF EGG PROTEIN
Michael J Puglisi, Maria Luz Fernandez.
2)LUTEIN AND ZEAXANTHIN CONCENTRATIONS IN PLASMA AFTER DIETARY SUPPLEMENTATION WITH EGG YOLK
Garry J Handelman, Zachary D Nightingale, Alice H Lichtenstein, Ernst J Schaefer, And Jeffrey B Blumberg.
Maddalena Pizzulo - nutrizionista
Presenti sulla Terra da circa un miliardo di anni, i funghi hanno visto nascere e civilizzarsi l’umanità. Risale infatti alla preistoria il primo contatto extra-visivo tra la nostra specie e questa strana creatura terrestre, da alcuni popoli immediatamente considerata magica. Come spiegare diversamente la sua capacità di spuntare, quasi all’improvviso, sotto alberi o rocce e, una volta ‘consumati’, come interpretare le strane ‘visioni’ che ne derivavano? Uno stupore che ha presto preso, ad alcune latitudini, le vie del sacro o dell’esoterico. Eppure, la principale funzione e annessa virtù del nostro è quella, tutta biologica, di purificazione e rigenerazione dell’ambiente circostante. Alla quale possiamo aggiungere, un po' egoisticamente ed edonisticamente, la capacità di inebriare i nostri sensi, grazie ai suoi raffinati aromi terragni, alla base del ruolo privilegiato occupato nel nostro sistema alimentare.
I funghi vengono da sempre contemplati e/o mangiati dall’uomo, ma la mitologia greca ce ne presenta uno molto particolare, capace di farsi cappello pieno d’acqua e, quindi, di dissetare l’eroe Perseo, spossato per un lungo viaggio. A questo ‘pronto soccorso’ risale, secondo lo scrittore Pausania, la nascita di una civiltà tra le più importanti dell’antichità, quella micenea, fondata nel luogo di incontro con il già citato fungo (mykes in greco antico).
Leggende a parte, l’importanza del fungo nelle civiltà antiche è attestata da numerose opere d’arte scultoree e pittoriche, che lo ritraggono in gloria nelle più varie fogge. Con interpretazioni, tuttavia, differenti. Se, infatti, grande favore si riscontra in molte testimonianze dalla tarda antichità fino alla Grecia antica, i primi scricchiolii si odono nel mondo romano. Capace, quest’ultimo, di magnificarne le virtù culinarie, con Marziale, che li invoca come il più prezioso tra i tesori, e soprattutto con Apicio, che li porta in vetta con blasonate ricette, non sempre compatibili con il nostro palato odierno. Capace, al tempo stesso, di scolpirne con proverbiale sentenziosità, l’influenza nefasta sulla storia dell’uomo. Come nel racconto, veicolato magistralmente da Plinio il Vecchio, del presunto avvelenamento mortale subito dall’imperatore Claudio, ghiotto di funghi, e, per questa ragione, ucciso con una porzione di boleti velenosi dalla moglie Agrippina. Con lo sconsolante risultato, per Plinio, di aver determinato l’ascesa di un altro veleno per l’umanità, impersonato dal successore Nerone.
E, in effetti, i funghi velenosi, o almeno tossici, sono tanti e non facilmente riconoscibili. Non a caso, tale lato oscuro di questo frutto dei boschi, è alla base di una sua frequente identificazione con le forze del male, governate da streghe e demoni, riuniti in cerchio per generare, rigorosamente in notti buie e tempestose, queste strane creature.
Un approccio sposato anche dalla grande letteratura che, da Shakespeare in poi, ha saputo sublimare la natura inquietante di queste creature, ancora da Linneo considerate parte integrante del mondo vegetale, ma in seguito definitivamente promosse al rango di regno autonomo.
La letteratura è comunque sempre andata a nozze con i funghi, magnificati in componimenti in poesia e prosa, nei contesti più vari. Da attori protagonisti, come in un’ode attribuita a Corneille, o come presenze incidentali ma mai trascurabili, in Leopardi, Pascoli e in tanti altri poeti. Per poi innervare racconti d’avventura e fantascienza tra i più importanti della storia, a partire dal ‘Viaggio al centro della Terra’, di Jules Verne, che descrive una foresta di prataioli giganti capace di suscitare, ancora oggi, infantile trasporto e adulta ammirazione. Per poi sbarcare nel fantasy per eccellenza di ‘Alice nel Paese delle meraviglie’ del matematico Lewis Carrol, con il celebre episodio psichedelico del bruco e del fungo gigante. Una tra le tante anticipazioni della fantasmagoria rock e hard rock dei nostri giorni, con annessi riferimenti alle capacità allucinogene dei funghi. Niente a confronto delle sinistre similitudini evidenziate con la bomba atomica e il terrorizzante effetto speciale visivo fungino, conseguente alla sua esplosione.
Immagini ben più rassicuranti sono quelle che, per la fortuna di fotografi e cineasti, riescono a produrre alcune varietà di funghi fosforescenti. Letteralmente delle foreste di lampade colorate, meraviglie di selve e boschi brasiliani e giapponesi. Belli, tuttavia, sono anche i funghi destinati alla tavola apparecchiata, ma protagonisti su altre tavole, o meglio, tavolozze. Quelle dei numerosissimi autori di nature morte, dei quali sempre parliamo in questa rubrica. E questa volta omaggiamo esplicitamente l’italiano Giovanni Segantini, in libera uscita dai suoi tradizionali paesaggi alpestri, e ispirato da un piatto di bellissimi porcini. Probabilmente sono loro i funghi più altolocati nelle nostre tavole, a dispetto del nome, non proprio lusinghiero. Più nobili sì, ma certamente non i più costosi, vista l’imbattibilità, in questa particolare graduatoria, dello Yartsa gunbu, rarissimo fungo raccolto, per brevi periodi dell’anno, su ripidi pendii a non meno di 4mila metri di altezza, nelle montagne al confine tra Cina e Tibet.
Non per questo, sono da trascurare esemplari più ‘ordinari’, come ovolo buono, morchella, champignon (in Italia quasi sempre identificato con il prataiolo), pioppino, finferlo (chiamato anche gallinaccio) e via elencando.
Tutti funghi che hanno contribuito fortemente ad arricchire la cucina italiana. E proprio in vetta alla qualità, ricercata nei boschi più che coltivata, si aggira sempre il consumatore italiano, consentendo al nostro Paese, lontano dai primi posti mondiali della produzione di funghi, di essere considerato al top nel loro utilizzo in cucina.
Giunti al momento delle ricette ci ricordiamo, tuttavia, che la Cina, quasi sempre prima nella produzione agricola, spesso è ai primi posti anche nella sua evoluzione gastronomica. Certamente, in condominio con il confinante Giappone, le si può attribuire tale ruolo relativamente ai funghi. Più che mai pertinente è quindi la nostra consueta partenza dall’Estremo Oriente.
Shiitake alla salsa di soia
Funghi molto apprezzati sia in Cina sia in Giappone, in questa versione sposano frugalmente un altro ingrediente tipico della cucina orientale. Per l’abbinamento ci spostiamo molto più ad ovest, e ci affidiamo a un sylvaner tedesco.
Funghi cinesi con germogli di bambù
Ricetta spesso realizzata con gli stessi funghi della precedente, ci consente di schiacciare il pedale dell’esotismo, ma ancora una volta solo per quanto riguarda il cibo. Per il vino potremmo ripeterci o cambiare di poco. Ad esempio, un bianco della Mosella.
Noodles con funghi brasati
Versione cinese di uno dei tanti nostri primi piatti con gli amici del bosco. In questo caso sono ammessi vari tipi di funghi e la consistenza del piatto è di tutto rispetto, non certo a spese della sua qualità. Forse anche per questo ci buttiamo convintamente su un rosso a base di schiava gentile, della DOC Alto Adige. Talvolta questo piatto assume la forma di una zuppa, ma il nostro abbinamento regge benino anche a temperature più alte. A patto di non eccedere con le spezie.
Zuppa di mais e obukufuma
Fungo kenyota attenzionato dalla Fondazione Internazionale Slow Food, viene affumicato, per essere poi utilizzato in zuppe varie. Ne abbiamo scelta una con un secondo ingrediente per noi familiare. Come lo è un Falanghina del Taburno, che ‘rischiamo’ in abbinamento.
Zuppa di funghi di Kennet Square
Siamo nel cosiddetto Countryside di Filadelfia, capitale riconosciuta dei funghi USA. Nella cittadina di Kennet Square, in particolare, sono notissimi un festival e una ricetta dedicati ai funghi. Un viaggiatore incallito può provare i funghi in loco e ordinare, dalla costa opposta, uno Chardonnay californiano. A quanto pare sarebbe un bel sorseggiare nell’incanto verde di un’area magica, distante circa un’ora in automobile dalla città più ‘storica’ d’America.
Tapas di funghi alla escabeche
La cucina spagnola ci accoglie con un piatto di funghi che, con una certa approssimazione, potremmo definire marinati. Uno stuzzichino da aperitivo o antipasto e nulla più, ma di antiche origini arabe. Forse possiamo ‘limitarci’ a una rinfrescante birra.
Zuppa di patate e funghi alla tedesca
Le patate, croce e delizia della cucina teutonica, dividono la gloria con i funghi, che rilanciano così un alimento finito sotto gli strali salutisti ante-litteram di Ludwig Feuerbach. Proviamo un parvenu molto popolare, il giovane Dornfelder, vino nato da un incrocio, nel ‘vicino’ 1956.
Finferli alla panna
Ricco piatto austriaco che sfrutta la rustica aromaticità di un tipo di funghi da noi molto presente, non a caso, nel confinante Trentino Alto Adige. Per il vino ci arrampichiamo sulla vetta dell’alfabeto e proviamo uno Zweigelt, vigoroso, ma facile da bere.
Quenelles ai funghi porcini
Declinazione fungina di un classico cibo della cucina francese, piuttosto simile a una polpetta, ma di forma allungata. Se lo si mangia in Autunno, può essere suggestivo abbinarlo a un Beaujolais Nouveau, ormai molto fuori moda e, per questo, più interessante.
Coquilles Saint Jacques ai funghi porcini
Superclassico, questa volta di mare (pardon, oceano) della tradizione transalpina. D’accordo, il ruolo dei funghi è in tutto e per tutto ancillare alle più buone capesante del mondo, ma con ‘personalità’. I funghi snaturano il piatto, ma non al punto da rinunciare allo Champagne, eterno compagno di strada di questi gustosissimi animali marini.
Scaloppine con i funghi alla valdostana
Piatto robusto, completato dall’immancabile fontina e già italiano al 100%. Come un petit rouge della locale DOC Torrette, nonostante l’ineludibile accento francese.
Funghi trifolati
Ricetta semplicissima e ormai universale, ma di molto probabile origine piemontese. Solo per questo scegliamo di bere un elegante Roero Arneis. A patto, però, di non raccogliere dilettantescamente i funghi in città, come nella Torino industriale di un delizioso episodio del ‘Marcovaldo’ di Italo Calvino.
Risotto ai funghi porcini
Superclassico di molte regioni settentrionali, qui proviamo la versione lombarda e beviamo un pinot nero dell’Oltrepò Pavese.
Rosticciata ai finferli e speck
Diffusissima variante, con i funghi più tipici del territorio, di un robusto piatto unico altoatesino. Si tratta di un’aromaticissima spadellata di ingredienti abbrustoliti (traduzione esatta del tirolese grostl, che dà il nome alla ricetta). Ottimo il matrimonio con un operistico rosso locale, l’eccellente marzemino, protagonista, grazie al duo Mozart-Da Ponte, dell’immortale ‘Don Giovanni’.
Steinpilzen knodel
I canederli si adattano bene a tutte le stagioni (soprattutto quelle fredde) e in questo caso sposano, spesso già nell’impasto, i funghi porcini, che innalzano lo spessore del piatto, sposando perfettamente un Lagrein Dunkel della DOC Alto Adige.
Faraona ai funghi porcini
Ecco una delle tante ricette a tema offerte dal Veneto, patria indiscussa dei funghi coltivati in Italia, ma ricca anche di un’ampia varietà selvatica, da cercare nei boschi. Si sono scritti piccoli trattati sulla cucina locale a base di funghi, ma la nostra scelta, volutamente, vira su un ruolo ‘solo’ da coprotagonista del nostro alimento. In realtà, la faraona tagliata a pezzi raddoppia il suo ‘sapore’ con i mitici boleti veneti e ci spinge ad osare un Valpolicella Ripasso, appena un gradino sotto il leggendario Amarone.
Balote ai funghi
Dall’arco alpino non ci si può congedare senza aver mangiato una polenta. Scegliamo, quindi, questa variante friulana molto formaggiosa e ‘fungosa’, ideale con uno Schioppettino della Doc Friuli Colli Orientali, una perla dell’enologia regionale in rosso.
Lasagne con tocco di funghi alla ligure
Il ‘tocco de funzi’ è un sugo tipico della cucina ligure, soprattutto genovese, e, durante la stagione autunnale, arricchisce piatti già ben strutturati, come la lasagna. Per questo, ci concediamo un Rossese di Dolceacqua.
Sgrafignoni con funghi secchi e pomodoro
Tipica pasta emiliano-romagnola, in un certo senso una declinazione rustica delle quenelles francesi. Come queste ultime, sposano benissimo i funghi. E altrettanto bene un Gutturnio dei Colli Piacentini. Trovandosi in regione, è d’obbligo assaggiare il fungo di Borgotaro, dal 1996 IGP, magari visitando il museo dell’omonimo borgo parmense. Qui si può conoscere la storia e le caratteristiche di un campionissimo, che, per areale di produzione, sconfina letteralmente in Toscana.
Funghi in umido alla toscana
Ed eccoci nella patria del Risorgimento, dove siamo spinti ad osare un piatto di rivoluzionaria semplicità. E siamo incoraggiati da un grande emiliano-romagnolo, sua maestà gastronomica Pellegrino Artusi, che, già a fine Ottocento, rassicurava i suoi lettori sulla sicurezza nel consumo dei funghi toscani, soprattutto porcini e ovoli, consumati da secoli in svariate ricette. Confortati da tale giudizio, completiamo l’opera con un bicchiere di Morellino di Scansano.
Pappardelle ai funghi porcini
Primo piatto appenninico, sintesi ideale tra tante ricette simili (strangozzi, umbricelli, pici, fregnacce) dell’Italia centrale. La regione che fa da snodo in questa particolare geografia dei sapori, è forse l’Umbria, e, quindi, beviamo un Rosso di Montefalco.
Fregola ai funghi porcini
Completamente diversa è, invece, questa pasta sarda. In questo caso, unita ai funghi, deve assumere una consistenza cremosa e una controllata sapidità, tutta autunnale. Scegliamo un vino della DOC Monica di Sardegna, dall'omonimo vitigno.
Funghi cardoncelli alla salentina
Altra versione in umido del nostro alimento, ma siamo in Puglia, dove domina il cardoncello e dove la cucina è più ‘marinara’. L’uso del pomodorino è significativo in questo piatto, dal tocco poco invernale. Rinfreschiamoci quindi con un bicchiere di Rosato del Salento.
Agnello con cardoncelli alla lucana
Il fungo è lo stesso del precedente, ma la ricetta è assolutamente terragna. Ottimo l’abbinamento con l’Aglianico del Vulture Doc.
Stocco con funghi cardoncelli
Perseveriamo con questo fungo, identitario in buona parte dell’Appennino meridionale, ma ci trasferiamo in riva al mare. Non per mangiare pesce fresco, ma per ritrovare una nostra vecchia conoscenza: lo stoccafisso. A Reggio Calabria l’armonia con i cardoncelli la si raggiunge anche grazie al timo e ai pomodorini. Torniamo a un rosato, ma questa volta attingiamo alla storica DOC Cirò.
Pizza napoletana con i funghi porcini
Niente di storico, per carità, ma una pizza gourmet che può avere un futuro. Non sempre le mode del momento sono da condannare. Con il vino, invece, ci consegniamo alla sicurezza di un consolidato Greco di Tufo DOCG.
Ettore Zecchino
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