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ISO 9001:2015 Certificate number: IT331780
Umile residuo della prima lavorazione dell’uva, le vinacce, da sempre protagoniste nel mondo contadino e nella sua povera economia, ai nostri giorni si trovano a vivere una seconda giovinezza, come simboli per eccellenza di una cultura del riciclo a sfondo green. Al principale e più apprezzato uso ‘alcolico’, con la realizzazione, tramite distillazione, di pregiate bevande, quali l’italiana grappa e il francese marc, si sono aggiunti molti nuovi usi, in passato sconosciuti. Di vinacce si parla, ad esempio, con sempre maggiore interesse nell’ambito energetico, grazia alla possibilità di ricavarne combustibile, tramite essiccazione. Se meno innovativo, e ad oggi meno performante è il loro utilizzo come fertilizzante e concime naturale dei terreni, sorprende fino a un certo punto il loro ingresso in grande stile nel mondo della moda cosiddetta sostenibile, quella cioè fondata su un rispetto pieno dell’ambiente e degli esseri viventi. I tessuti ricavati dalle vinacce, superato un comprensibile scetticismo iniziale, sono quindi diventati il cavallo di battaglia di innovative linee produttive proposte da creativi della moda. Un destino in parte già scritto per questo residuo enologico, in grado di dare il proprio nome a un nuovo tipo di colore, con sfumature uniche nello spettro violaceo. In grande espansione e già consolidato è invece, l'uso di questo scarto nobile in ambito cosmetico (con tanti prodotti dermatologici anti-invecchiamento, ma anche con preparati medici e paramedici in grado di sfruttare le sue caratteristiche fortemente antiossidanti).
In un altro settore l’utilizzo delle vinacce, pur fortemente incentivato da tante ricerche scientifiche recenti, ha origini sicuramente antiche. Ci riferiamo al mondo dell’alimentazione. Ancora una volta (sia ben chiaro, guai a considerarla una regola) tradizione fa rima con salute, e le vinacce entrano da protagoniste in tante ricette storiche o di recente creazione.
Qui, come sempre, ci limitiamo ad indicare preparazioni assurte al rango di ‘tradizionali’, citando soltanto l’utilizzo crescente delle vinacce come impasto base per farine e prodotti da forno sia dolci sia salati, ma anche per la creazione di paste e primi piatti cerealicoli di vario tipo. Un nuovo corso in espansione, fortemente incoraggiato da ricerche e studi che vedono in prima linea prestigiosi centri di ricerca ed università, impegnati anche a trovare le alchimie giuste per intercettare il gusto collettivo e diffondere così un prodotto ricchissimo di fibre, vitamine, antiossidanti e altri pregi, in più, ad altissima valenza green.
Non va dimenticato, infine, il valore nutraceutico, dell’olio di vinaccioli (i semi sono parte delle vinacce insieme alle bucce, e, qualche volta, ai raspi). Si tratta di un prodotto che, se consumato con moderazione, è molto salutare a crudo, per la ricchezza di polifenoli, anche se viene utilizzato soprattutto per le cotture ad alte temperature, visto il suo elevato punto di fumo.
Tornando alla tradizione, ci limitiamo a pochi esempi ‘storici’:
Peperoni sotto raspa
Tipici soprattutto, ma non esclusivamente dell’Astigiano, dove si usa l’apprezzata qualità Capriglio, questi ortaggi si giovano molto, in fase di conservazione, del matrimonio con le vinacce, e possono insaporire, come condimento di lusso, qualsiasi portata. La loro tendenza ‘acetata’ li rende perfetti per la mitica bagna cauda, magari abbinati a un bicchiere di Freisa, spesso il vino da cui tutto ha avuto origine. Questi peperoni, comunque, sono perfetti anche in accompagnamento a un bollito misto di carni, e, in quel caso, è a queste ultime che si deve guardare per l’abbinamento enologico.
Tagliatelle alla farina di vinacce
Piatto forse non ancora etichettabile come tradizionale, ma in alcune zone, come in Friuli, molto consumato. In quest’area è spesso abbinato ad una Ribolla Gialla. E, grazie ai tanti polifenoli, gode anche il cuore.
Brovada e muset
Abbinamento natalizio friulano di rape cotte conservate nelle vinacce, con un insaccato tipico, simile al cotechino. Si tratta di un celebre piatto triestino che costituisce una delle ricette più note con protagoniste le rape, e si accompagna bene a un rosso della zona, preferibilmente un Refosco.
Salumi e prosciutti alle vinacce
Tipo di conservazione dei salumi non particolarmente diffusa, ma in alcune aree con dignità di tradizione (il caso più rilevante è sicuramente quello del culatello, da sempre stagionato tra gli aromi forti, sia pur indiretti, della vendemmia), ci consente di cogliere sfumature di gusto ‘alternative’ in un settore già molto variegato della gastronomia italiana. Per il vino, quasi sempre un rosso di medio corpo, conviene affidarsi a quello corrispondente alle vinacce utilizzate.
Formaggi alle vinacce
Il Veneto, insieme alla Toscana, e, in parte al Piemonte, può dirsi terra di elezione per un abbinamento divenuto ormai ubiquitario. Tutte le fonti sembrano convergere nell’indicare il caso (non il cacio) all’origine di questo processo di conservazione del formaggio. Quasi sempre, dimenticato ad ‘affinare’ in un nascondiglio di emergenza, utile a preservarlo da saccheggi e scorrerie militari. L’attendibilità di queste ricostruzioni è il più delle volte dubbia, ma sempre suggestiva. Si racconta anche di annate povere di olio, e, quindi di un utilizzo emergenziale delle vinacce per ammorbidire la crosta del cacio. Così come accreditata, e, più ‘scientifica’, è la teoria di un ricorso alle vinacce come antidoto alla proliferazione di batteri nocivi. In ogni caso, nel Veneto del 500 tale uso era già ampiamente attestato per varie tipologie di formaggio, per lo più vaccino, alle quali accompagnare, va senza dire, uno dei tanti vini della regione, di lignaggio adeguato al cacio consumato.
Pecorino toscano alle vinacce
Siamo in Toscana, e, alla base di tutti i grandi rossi autoctoni della regione, troviamo spesso le uve sangiovese e loro stretti parenti. Il formaggio qui utilizzato è un pecorino. La scelta di un Chianti beverino o di un austero Brunello dipenderà quindi, più che altro, dal tipo di stagionatura o dal pregio del formaggio.
Tomme au Marc de Raisin
Anche la Francia ha i suoi formaggi conservati nelle vinacce. Tra questi, citiamo questo tipico vaccino savoiardo, pressato a freddo e stagionato in botti con vinaccia d’uva stagionata sulla crosta, allo scopo di preservare il prodotto per tutto l’inverno. Un Saumur rouge ci sta benissimo.
Arome de Lyon
Si tratta di uno dei vari formaggi del Lionese, in questo caso vaccino, ma in alcuni casi sono utilizzati anche caprini, così lavorati per consentire la conservazione dei pezzi invenduti alla fine dell’estate. Si può abbinare un rosso del confinante Beaujolais, da dove provengono, in genere, le vinacce.
Crostata e biscotti con farina di vinacce
Negli Stati Uniti la farina di vinacce è considerato un alimento di tendenza, soprattutto in ambito vegano, con il quale realizzare svariati prodotti da forno, dotati di una marcia in più in senso nutraceutico. In Italia, le vinacce sono alla base di dolci parenti di quelli realizzati con il mosto, che ci consentono di omaggiare (con molta moderazione) sua maestà la grappa, meglio se in versione barricata.
Per rialzarsi con sprint, ecco una novità assoluta: il caffè alle vinacce (provare per credere).
Ettore Zecchino
La vinaccia è formata dalle parti solide dell’uva, ossia le bucce e i vinaccioli, che possono presentare o meno il raspo. La buccia è la membrana che racchiude la polpa ed i vinaccioli. Essa è formata da un’epidermide di cellule appiattite, ricoperte da una sostanza cerosa, detta pruina, e costituisce il substrato ideale per i lieviti e gli altri microrganismi. I vinaccioli, generalmente in numero di due o tre per acino, sono ricoperti da una robusta epidermide, che li rende passivi al processo fermentativo, e rappresentano il 25-35% in peso della vinaccia fresca diraspata. Il raspo, formato da un’asse centrale, da cui si diramano i racimoli, è costituito da sostanze cellulosiche, glucidi semplici, sali organici e minerali.
Le vinacce sono uno dei sottoprodotti più abbondanti dell’agro-industria, specialmente in Italia, uno dei più importanti produttori enologici del mondo. Questo materiale di scarto è attualmente conferito in distilleria, dove subisce un processo di distillazione, che sostanzialmente non ne modifica la composizione. Dalle vinacce, anche da quelle residue di distillazione, si possono recuperare, per semplice estrazione in acqua, composti chimici come le antocianine e i bioflavonoidi, dotati di notevoli proprietà biomediche. Nelle vinacce e soprattutto nei vinaccioli sono infatti presenti sostanze benefiche, in particolare, molecole antiossidanti polifenoliche, che afferiscono alle famiglie degli antociani, antocianidine, flavoni e flavani. Queste molecole, particolarmente presenti nelle uve bianche e rosse, sono tutte antiossidanti naturali. Ricordiamo, in particolare, le catechine, che fungono da anti infiammatorio, la rutina, le epicatechine, gli acidi clorogenici, la quercitina e il resveratrolo, particolarmente importanti per la prevenzione dell’infarto al miocardio e del diabete (1), ma anche in grado di contrastare l’invecchiamento, il cancro, la demenza senile e la steatosi epatica (2). Il contenuto di queste molecole bioattive nelle vinacce dipende dal tipo di vitigno, dalle condizioni climatiche ed anche dalle modalità di lavorazione in cantina. Le vinacce fresche e profumate appena raccolte in cantina, costituiscono inoltre, dal punto di vista chimico, una risorsa alimentare, e possono essere utilizzate come tali, ad esempio, dopo essiccamento e macinazione, per produrre farine ricche di fibra. Le fibre vegetali infatti sono particolarmente richieste dall’industria alimentare, la quale è interessata a produrre alimenti sani che facilitino la digeribilità e che siano a basso contenuto calorico. La produzione di fibre vegetali è interessante anche perché permette di utilizzare tutta la massa di vinaccia, generando una quantità di prodotto importante. (3).
Naturalmente, l'abuso di sostanze alcoliche estratte dalla vinaccia, come nel caso della grappa, può causare seri danni alla salute e importanti effetti collaterali. Tra questi: sovrappeso; problemi cardiaci; insonnia; disturbi ai reni e al fegato; disordini gastroesofagei.
(1) REDUCED OBESITY, DIABETES, AND STEATOSIS UPON CINNAMON AND GRAPE POMACE ARE ASSOCIATED WITH CHANGES IN GUT MICROBIOTA AND MARKERS OF GUT BARRIER
Matthias Van Hul, Lucie Geurts, Hubert Plovier, Céline Druart, Amandine Everard, Marcus Ståhlman, Moez Rhimi, Kleopatra Chira , Pierre-Louis Teissedre, Nathalie M Delzenne, Emmanuelle Maguin, Angèle Guilbot, Amandine Brochot, Philippe Gérard, Fredrik Bäckhed, Patrice D Cani
(2) GRAPE POMACE REDUCES THE SEVERITY OF NON-ALCOHOLIC HEPATIC STEATOSIS AND THE DEVELOPMENT OF STEATOHEPATITIS BY IMPROVING INSULIN SENSITIVITY AND REDUCING ECTOPIC FAT DEPOSITION IN MICE
Tehila Daniel, Michaella Ben-Shachar, Elyashiv Drori, Sharleen Hamad, Anna Permyakova, Elad Ben-Cnaan, Joseph Tam, Zohar Kerem, Tovit Rosenzweig
(3) THE POTENTIAL OF GRAPE POMACE VARIETIES AS A DIETARY SOURCE OF PECTIC SUBSTANCES Mariana Spinei, Mircea Oroian
Maddalena Pizzulo - nutrizionista
Noto quasi ovunque per le sue qualità terapeutiche e per il suo significativo apporto alla produzione della birra, il luppolo entra in contatto con la celebre bevanda solo nell’Alto Medioevo, in una fase già avanzata della sua storia. Era infatti già utilizzato millenni prima dagli antichi Egizi per vari usi medici, mentre i Romani lo inserivano, insieme ad altre erbe, in non poche bevande. Proprio a questi ultimi potrebbe risalire, almeno parzialmente, l’etimologia, in realtà abbastanza controversa, del nome linneiano della pianta, Humulus Lupulus, ossia una pianta ‘lupo’, ben legata al suolo umido. Plinio il Vecchio aveva infatti scritto di questa pianta selvatica che predilige le zone temperate e umide e che soffoca i salici, comportandosi come farebbe un lupo con le pecore.
Il loro incontro rappresenta, quindi, solo una ripartenza per entrambi, considerando che anche la birra, sia pure con altro nome e altre caratteristiche, aveva una storia millenaria alle spalle.
Furono, come spesso nel Medioevo, i monaci, in questo caso tedeschi, a imprimere una vera e propria svolta nella produzione di questa bevanda. Grazie al luppolo, a partire dall’VIII secolo, la birra inizia ad acquistare nuovi e raffinati sentori amari, ma, soprattutto, come sacramenterà qualche secolo più tardi Ildegarda di Bingen, guadagna moltissimo in quanto a capacità di conservazione, e diremmo oggi, di mantenimento delle proprietà organolettiche per tempi lunghi. Un salto in avanti determinato dall’autorevolezza della geniale mistica medievale, circa quattro secoli prima della consacrazione definitiva, nel 1516, avvenuta grazie al celeberrimo Reinheitsgebot (l’editto della purezza). Da questo momento Guglielmo IV di Baviera obbliga i birrai ad utilizzare solo acqua, malto d’orzo e luppolo (e, ovviamente, lievito). Una rivoluzione teodosiana che renderà la birra, tra non poche resistenze, soprattutto inglesi, una bevanda ‘inevitabilmente’ luppolata. Messo definitivamente alle spalle il ‘mitico’ gruit, (antica miscela di erbe alla base della bevanda, oggetto di riscoperta ai nostri giorni), la birra prende il nome attuale (dalla radice germanica bier, che soppianta l'antico cervogia) e il luppolo diventa ingrediente importantissimo, anche se, a dire il vero, mai essenziale come l’acqua e i cereali (soprattutto malto d'orzo).
In ogni caso, da questo momento in poi, l’Europa Centro-Settentrionale sarà abbellita da coreografici luppoleti e l’embrionale ricerca dei produttori si concentrerà in gran parte sulle varietà e le tipologie di luppolo, più o meno note. Dal pregiatissimo Saaz, coltivato in Repubblica Ceca sin dal 1100, al classico bavarese Spalt, uno dei tre luppoli 'nobili' della Germania, fino allo statunitense Cascade, frutto di uno strabiliante incrocio tardo-novecentesco anglo-russo, per arrivare al vinoso Nelson Sauvin, perla neozelandese contemporanea, in grado di evocare negli aromi il quasi omonimo vino, sono tantissime le varietà di luppolo coltivate e studiate, in luoghi ed epoche diversi, lungo un percorso spazio-temporale affascinante e in continua evoluzione. Protagonisti principali di questa epopea sono stati indubbiamente i tedeschi, il cui primato è oggi insidiato da vicino sia per quantità sia per qualità di produzione, dagli Usa, in continuo fermento, e, molto a distanza, dall’onnipresente Cina, che antichi testi medici a parte, è tornata ad occuparsi seriamente del luppolo in questi ultimi decenni. Se anche l’Africa ha i suoi discreti campioncini in erba e l'Oceania delle autentiche eccellenze, e se la birra è da tempo diventata una bevanda planetaria, il suo mondo d’elezione rimane il Nord Europa germanico, anglosassone e slavo. All’Italia non restano che le briciole, pur nella forma di piccole perle, messe su da raffinati produttori (l’irpina Serrocroce tra questi).
La situazione si capovolge per quanto riguarda le varianti selvatiche del luppolo, i cui getti e germogli primaverili sono molto simili a un asparago, e al loro collaudato ruolo in cucina. Pur non del tutto sconosciuti ai popoli del nord (Austria e Germania in testa), questi parlano infatti un idioma prevalentemente italico. E sono i dialetti settentrionali a prevalere nettamente in questa particolare competizione.
Spicca il Veneto, con i suoi bruscandoli di foscoliana memoria, ma non scherza il Piemonte, con i luvertin o livertin, che diventano loertis o luertis nella confinante Lombardia, e urticions nell’orientale Friuli Venezia Giulia.
A questi nomi e alla gustosa sostanza che ‘contengono’ ci riferiremo nella nostra consueta carrellata eno-gastronomica.
Cime di luppolo selvatico lesse con olio
Piatto semplice, capace di evidenziare al massimo i raffinati sentori amarognoli e la delicatezza di questa piantina spontanea primaverile, che, a differenza dell’asparago, è più gustosa quando è più grande. Se mangiato da solo, può essere un ideale antipasto depurativo senza accompagnamento alcolico. Se adagiato su una fettina di pane di segale, naturalmente lievitato al luppolo, come accadeva in Piemonte, bè, un bicchierino di rustico Timorasso ci starebbe bene.
Subric di patate con luppolo selvatico
Rimanendo in Piemonte, e giocando un po’ sul tema delle crocchette, scopriamo un aperitivo sfizioso, che abbiniamo indisciplinatamente a un elegante Gavi.
Minestra di bruscandoli
Eccoci alle ‘Ultime lettere di Jacopo Ortis’, capaci di immortalare un piatto povero che molto si ‘rafforza’ con il contributo di fagioli e farro (ma gli ingredienti possono variare sul fronte legumi-cereali). Proviamo un rosso, ma di livello ‘sociale’ omogeneo, come un Raboso.
Risotto ai bruscandoli
Il nome dialettale veneto si impone ancora una volta per un super classico primaverile. Lo accompagniamo a un Bianco di Custoza, provando a esorcizzare le disfatte risorgimentali.
Gnocchetti al pesto di luppolo selvatico
Inseriamo un po’ di Liguria, ma per il vino andiamo in Friuli, puntando tutto sulla mineralità del locale Pinot Grigio.
Frittata di bruscandoli
Da tempi antichissimi è lo spuntino popolare veneto nel giorno della festa di San Marco. Un Chiaretto mette d’accordo tutti, tra delicatezza e sostanza.
Livertin marià
Variante piemontese sul tema uova e luppolo, maritato (di qui il nome) con aceto. Stile scapece. Convintamente, anche se non professionalmente, Barbera mossa.
Salame al luppolo selvatico
Grande idea, in prospettiva capace di rendere più igienico il processo di conservazione dei salumi. In Abruzzo se ne produce di buono. Quindi, Montepulciano.
Biscotti al luppolo
Quanto si sente il luppolo in un biscotto? Le opinioni sono diverse. La nostra è incerta. Forse è un pretesto per deliziarci con un raffinato Picolit.
Carbonade alla fiamminga
Un relativo fuori tema, in fondo un omaggio. Da Bacco a Gambrinus. Questa volta, al robusto stufato di manzo abbiniamo una corposa birra belga di abbazia, già parte integrante della celebre ricetta.
Ettore Zecchino
Il luppolo (Humulus lupulus) appartiene alla famiglia delle Cannabaceae ed è una pianta perenne caducifoglia, provvista di un apparato radicale di tipo rizomatoso robusto e profondo, composto da numerose radici avventizie molto sviluppate, che contribuiscono ad ancorarla saldamente al terreno. La sua parte aerea è formata da sottili fusti rampicanti verdi e cilindrici, che negli esemplari adulti superano anche i 10 metri di lunghezza. I fusti, detti anche vitigni, allungandosi tendono ad avvolgersi su se stessi, formando intrecci naturali. Le foglie sono cuoriformi, picciolate, opposte, e divise in 3-5 lobi con margini dentellati. La pagina superiore di colore verde intenso, è ricoperta da una fitta e corta peluria ed è ruvida al tatto, mentre quella inferiore è leggermente più chiara e, se stropicciata, rilascia una sostanza cerosa. I fiori, riuniti in particolari infiorescenze pendule a pannocchie, sono giallo-verdognoli e gradevolmente profumati. Poichè il luppolo è una pianta dioica, i fiori femmina e maschio sono portati da piante a sessi separati e si riconoscono facilmente. Nelle piante maschili, i fiori compaiono all’apice dei rami, riuniti in pannocchie più piccole, e sono composti da cinque tepali e cinque stami. Nelle piante femminili i coni compaiono a due a due all’ascella di brattee, simili a piccole foglie, che nell’insieme formano la caratteristica infiorescenza a cono, ricca di ghiandole resinose. Queste ultime secernono la lupina o luppolina, una sostanza polverosa giallastra dal sapore aromatico-amarognolo, che insieme agli altri oli essenziali è responsabile del caratteristico gusto della birra. I frutti sono acheni di colore grigio-verde, situati alla base delle infiorescenze, e sono rivestiti da brattee secernenti una sostanza resinosa di colore giallo.
I principi attivi contenuti nel luppolo sono principalmente alfa e beta acidi. Gli acidi alfa, come l’umulone e il coumulone, conferiscono il sapore amaro. Quelli beta, nello specifico lupulone e colupulone, sono invece aromatizzanti. Abbiamo inoltre i tannini che interagiscono con le proteine di membrana, diminuendone la permeabilità. Non a caso, vengono usati per disturbi gastrointestinali e sono efficaci in caso di patologie iper-secretive. Abbiamo poi la lupolina, contenuta nei coni del luppolo, che produce flavonoidi prenilati, (1) sostanze ricche di proprietà benefiche per l’organismo umano. In particolare, hanno un’importante attività estrogenica, quindi sono imputati nella regolamentazione del sistema riproduttivo e di quello nervoso centrale e sono anche coinvolti nel controllo della corretta densità ossea (2), nella ritenzione idrica e nella coagulazione del sangue. I flavonoidi esercitano, invece, una potente azione antiflogistica. In particolare, allo xantumolo è riconosciuta una preziosa proprietà antinfiammatoria. Infine, la ricca concentrazione di fitoestrogeni nel luppolo previene il rischio di incorrere in patologie cardiovascolari, bloccando l’aggregazione e l’adesione piastrinica. (3)
L’assunzione di rimedi a base di luppolo è controindicata in caso sussista un’ipersensibilità ad una delle componenti attive presenti nella pianta. In alcune persone si potrebbero infatti manifestare sonnolenza e vertigini. Si raccomanda, inoltre, di evitare una somministrazione contestuale di rimedi a base di luppolo con farmaci metabolizzanti, in quanto gli strobili del luppolo bloccano l’attività dell’enzima citocromo P450, un’emoproteina implicata nel processo di ossidazione e di rimozione di sostanze endogene.
Il luppolo può aggravare uno stato depressivo preesistente, pertanto si raccomanda di evitare la somministrazione in soggetti affetti da tale patologia. Il suo consumo è infine fortemente sconsigliato per le persone che presentano una sensibilità marcata agli ormoni estrogeni, a seguito di tumore al seno o endometriosi.
1)FLAVONOIDS AS PHYTOESTROGENIC COMPONENTS OF HOPS AND BEER
Tomasz Tronina , Jarosław Popłoński , Agnieszka Bartmańska
2)HOP RHO ISO-ALPHA ACIDS, BERBERINE, VITAMIN D3 AND VITAMIN K1 FAVORABLY IMPACT BIOMARKERS OF BONE TURNOVER IN POSTMENOPAUSAL WOMEN IN A 14-WEEK TRIAL
Michael F Holick , Joseph J Lamb, Robert H Lerman, Veera R Konda, Gary Darland, Deanna M Minich, Anuradha Desai, Tai C Chen, Melissa Austin, Jacob Kornberg, Jyh-Lurn Chang, Alex Hsi, Jeffrey S Bland, Matthew L Tripp
3)FUNDAMENTALS AND HEALTH BENEFITS OF XANTHOHUMOL, A NATURAL PRODUCT DERIVED FROM HOPS AND BEER
Paulo J Magalhães, Daniel O Carvalho, José M Cruz, Luís F Guido, Aquiles A Barros
Maddalena Pizzulo - nutrizionista
La spirulina (Arthrospira platensis) è un'alga azzurra unicellulare, appartenente, più precisamente, alla classe Cyanobacteria (cianobatteri) che vive in laghi di acqua dolce con acque alcaline e calde. Il nome ‘spirulina’ deriva dalla sua forma, che ricorda quella di una spirale, stretta e allungata, che non supera il mezzo millimetro di lunghezza. Il suo colore è verde scuro, grazie alla presenza di clorofilla, i cui pigmenti coprono i riflessi bluastri della policianina e quelli gialli dei carotenoidi. Essa si presenta come un ciuffo di foglie verdi-azzurre filamentose e di dimensioni minuscole, che si innalzano dal terreno marino, formando la tipica geometria a spirale. Si sviluppa spontaneamente in condizioni particolari. La temperatura e l’alcalinità sono infatti caratteristiche essenziali per la sua crescita, ragion per cui la spirulina prolifera nelle acque di alcuni laghi americani e africani. Questo microrganismo conta circa 15 tipi, tra cui la Spirulina Maxima e la Spirulina Platensis. La spirulina contiene una serie di componenti nutrizionali che la rendono un alimento ideale, ovvero ingenti quantità di proteine, vitamine A, E, del gruppo B, sali minerali come ferro, magnesio, calcio e fosforo, alcuni carotenoidi (provitamine A, come l'astaxantina), acidi grassi essenziali e lipidi. I grassi in essa contenuti appartengono alla grande famiglia dei mono e dei polinsaturi, con netta prevalenza degli omega-6 rispetto agli omega-3, e con elevate quantità di acido gamma linolenico. Questi nutrienti, se ben bilanciati tra loro, sono considerati in grado di migliorare i livelli di colesterolo e di trigliceridi nel sangue, di normalizzare la pressione arteriosa, di partecipare alla formazione delle guaine mieliniche che rivestono i nervi e di migliorare la funzionalità del sistema immunitario. Inoltre il binomio tra vitamine ed altri pigmenti (ad esempio la clorofilla), conferisce alla spirulina proprietà antiossidanti degne di nota. Grazie a queste sue caratteristiche essa è potenzialmente in grado di proteggere dai radicali liberi e dai danni che questi causano all'organismo (invecchiamento precoce, malattie neurodegenerative, alcune forme tumorali e malattia aterosclerotica). Grazie poi all’alto contenuto di vitamina A che normalizza il funzionamento delle ghiandole sebacee, la spirulina è in grado di contrastare anche l’acne, mentre le vitamine del gruppo B stimolano il metabolismo della cute. La vitamina E, dal canto suo, conferisce morbidezza e tonicità alla pelle, favorendo il processo di cicatrizzazione. La spirulina possiede diverse proprietà benefiche utili al nostro organismo e nella medicina alternativa è particolarmente utilizzata per le sue notevoli proprietà terapeutiche (1).
Nello specifico, ha un’azione:
Ipolipemizzante e Anticoagulante: gli acidi polinsaturi presenti (omega-3) sono in grado sia di ridurre la concentrazione lipidica nel sangue, dimostrandosi un prezioso alleato per gli individui che soffrono di colesterolo alto, sia di ostacolare la formazione di coaguli nel sangue, permettendone di conseguenza una maggiore fluidità.
Vasodilatatrice: le xantonfille in essa presenti contrastano le sostanze che causano una vasocostrizione dei vasi sanguigni, regolando così la pressione arteriosa sistemica.
Disintossicante: la clorofilla, la ficocianina e le xantofille sono in grado di contribuire all’eliminazione dei metalli pesanti presenti nell’organismo.
Antinfiammatoria: l'acido linoleico in essa presente è in grado di esercitare azioni antinfiammatorie, antivirali ed antimicrobiche, producendo alcune prostaglandine, che attivandosi, originano gli eicosanoidi, agenti in grado di bloccare sul nascere una eventuale infiammazione cronica.
Antiossidante: La vitamina E, il beta carotene e la zexantina conferiscono alla spirulina importanti effetti anti aging. Sono quindi utili nella lotta contro l'azione distruttiva dei radicali liberi, i principali responsabili del logoramento delle membrane cellulari, che determinano non solo l'invecchiamento, ma anche patologie ben più gravi correlate ad esso. (2)
Diabete: Recenti studi hanno conferito alla spirulina proprietà in grado di regolare la dose necessaria di insulina, azione che ricopre un ruolo fondamentale per la diminuzione dell'indice glicemico. (3)
Anemia: Grazie alla presenza della vitamina B12 la spirulina è in grado di contrastare l’insorgenza dell’anemia.
La spirulina non comporta alcun tipo di effetto collaterale indesiderato, ma se assunta in maniera sconsiderata può causare stati febbrili, stitichezza e nausea. Tuttavia è sconsigliata per i soggetti affetti da patologie autoimmuni in quanto potrebbe causare delle complicazioni.
1) SPIRULINA IN HEALTH CARE MANAGEMENT
Archana Kulshreshtha , Anish J Zacharia, Urmila Jarouliya, Pratiksha Bhadauriya, G B K S Prasad, P S Bisen
2)ANTIOXIDANT, IMMUNOMODULATING, AND MICROBIAL-MODULATING ACTIVITIES OF THE SUSTAINABLE AND ECOFRIENDLY SPIRULINA
Alberto Finamore , Maura Palmery , Sarra Bensehaila , Ilaria Peluso
3)THE EFFECTS OF SPIRULINA ON GLYCEMIC CONTROL AND SERUM LIPOPROTEINS IN PATIENTS WITH METABOLIC SYNDROME AND RELATED DISORDERS: A SYSTEMATIC REVIEW AND META-ANALYSIS OF RANDOMIZED CONTROLLED TRIALS
Zahra Hamedifard , Alireza Milajerdi , Željko Reiner , Mohsen Taghizadeh , Fariba Kolahdooz , Zatollah Asemi
Maddalena Pizzulo - nutrizionista
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