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ISO 9001:2015 Certificate number: IT331780
Alimento fondamentale nella storia dell’uomo (come la carne per la preistoria), il grano, in qualità di principe dei cereali, ha accompagnato e in non pochi casi determinato la nascita e lo sviluppo delle più importanti civiltà. Originario di un’area a cavallo tra Mar Mediterraneo, Mar Nero e Mar Caspio, ha favorito la trasformazione in stanziali di antiche stirpi nomadiche, incentivando un definitivo processo di urbanizzazione da un lato e di statalizzazione dall’altro. A tutela delle coltivazioni le genti mesopotamiche, mediterranee e nord-africane svilupparono infatti, a partire almeno da un millennio prima di Cristo, nuove forme associative e inedite configurazioni economiche, allontanandosi definitivamente da stili di vita consolidati. Da quel momento, il grano, alternativamente chiamato frumento, si è gradualmente diffuso in tutto il globo, tanto da essere ancora ai nostri giorni l’alimento base di buona parte della popolazione mondiale, e tanto da vantare produzioni da primato in aree lontane dagli habitat originari. Cina, India, Russia e Stati Uniti sono infatti ai vertici delle classifiche di produzione e commercializzazione. Il primato europeo spetta invece alla Francia (sesta su scala globale), seguita dall’Ucraina, attualmente afflitta da una guerra che sta condizionando in maniera rilevante gli approvvigionamenti globali del prezioso cereale.
L’Italia si difende bene, con picchi quali-quantitativi nella produzione di grano duro, ingrediente essenziale per la pasta. Nella nostra Penisola il frumento ha affiancato il farro, che può considerarsi un suo progenitore e che sopravvive degnamente in alcune regioni del Centro. Se infatti il matrimonio religioso per eccellenza degli antichi Romani era la ‘confarreatio’, una cerimonia basata sul consumo di focacce di farro, in piena età imperiale il culto di Cerere, dea delle messi, sarà già riferito essenzialmente all’attuale grano, differenziato in duro e tenero.
Le notevoli qualità nutritive dell’alimento, soprattutto nella versione dura, unite alla versatilità delle preparazioni ad esso collegate ne hanno fatto da sempre un signore della tavola, e prima ancora dei campi. Lo attestano svariati modi di dire e proverbi centrati sul frumento in molte lingue del mondo e altrettanti riferimenti regalati dalla grande arte di tutti i tempi.
Dalle magnifiche pagine delle 'Georgiche' virgiliane fino al rinnovato lirismo rurale di Pascoli o Papini, la migliore letteratura latina prima e italiana poi ha spesso glorificato questo alimento, esaltato da scrittori e poeti di tutto il mondo e immortalato da grandi autori figurativi, su tutti Vincent Van Gogh.
Una fortuna durata fino ai nostri giorni se la coppia Battisti-Mogol ha potuto scorgere in un campo di grano ‘’la poesia di un amore profano’’ e se, prevedibilmente, il giallo chiaro delle sue spighe ha fatto da cornice a scene simbolo di famosissimi film. Agli straordinari affreschi rurali di ‘Novecento’ di Bernardo Bertolucci e de ‘L’Albero degli zoccoli’ di Ermanno Olmi, si possono tuttavia aggiungere svariati altri titoli di ogni genere cinematografico e di ogni latitudine, tanto da rendere impossibile un elenco completo e coerente.
Di grano si parla significativamente anche come sinonimo di moneta, e, in un certo senso di ricchezza, ma l’altra struggente faccia della medaglia è quella della sofferenza evocata dal lavoro dei campi e dalle battaglie sindacali annesse. In Italia la memoria va inevitabilmente a quelle condotte da Giuseppe Di Vittorio nella sua Capitanata. Più in generale il grano e tutte le attività ad esso connesse, a partire dalla semina fino ad arrivare alla mietitura, simboleggiano paradigmaticamente la fatica e il sudore di un lavoro, quello nei campi, sempre più tecnologico, ma ancora in grado di evocare simbolismi epici. Come quelli evangelici di alcune tra le più celebri parabole cristiane o come la sublime similitudine di Montaigne tra sapienti e spighe di grano, entrambi con il capo chino e umiliato nel momento di maggiore ricchezza.
Umiltà che certamente riscontriamo in cucina, dove, nelle gerarchie dei cibi, il nostro alimento non occupa mai, almeno nelle tavole nobili, il posto più alto, ma che di gran lunga batte tutti per intensità di gusto e versatilità.
Partiamo dunque con un elenco, più del solito sintetico ed esemplificativo, di ricette concentrate solo sul grano, con un’unica divagazione dichiarata per il farro, progenitore italico della stessa famiglia.
Bing
L’Estremo Oriente in genere va a tutto riso, ma pochi sanno che nella Cina Settentrionale si preferisce il grano, utilizzato per svariate ricette. La più semplice e quindi la più adatta ad aprirci lo stomaco è questa sorta di versatile pancake rustico, che scegliamo nella versione basica con cipolla, uova, ravanello e olio e che mangiamo sorseggiando un buon bicchiere di birra al frumento, tanto per rimanere in tema.
Cous Cous alle verdure
Notissimo piatto maghrebino e mediorientale in genere, lo scegliamo nella versione classica con le verdure. La ricetta prevede tuttavia un quantitativo non irrilevante di carne. Quanto basta per provare un robusto Carignan, vitigno acclimatatosi perfettamente in Marocco.
Bulgur
Le Americhe sono piene di mais, un parente strettissimo del grano, ma ci siamo imposti un certo rigore, e, quindi, ci manteniamo nell’area geografica di nascita. Prima di sbarcare nella nostra Penisola facciamo tappa in Turchia, per assaggiare il mitico bulgur, essenzialmente grano duro germogliato cotto al vapore, essiccato e macinato. Alimento sanissimo, ma anche gustosissimo, come nella kisir o nel tabulè, due insalate speziate e piccanti, ricche di ingredienti di stagione, da abbinare al protagonista. I piatti scelti sono alla turca, ma la presenza di numerose versioni libanesi ci autorizza a rimettere un secondo piede in Asia, per bere uno degli ormai leggendari bianchi nella Valle della Bekaa.
Gran pistau
Entriamo in Italia via mare e ci fermiamo nel piccolo borgo di Pigna, in provincia di Imperia. Qui si mangia il ‘gran pistau’, una zuppa nata con la versione selvatica del frumento e che di queste origini rustiche mantiene la sapidità, grazie anche al consistente aiuto di una buona carne di maiale. Ottima con un Ormeasco, provando a lenire i primi freddi autunnali.
Zuppa di farro
Ancora più antica, ma poco distante, è questa ricetta simbolo della Garfagnana, patria indiscussa di questo formidabile cereale, in questo caso affiancato dai fagioli. Non si può dire lo stesso dei vini, ma ai più blasonati vicini di casa ostinatamente preferiamo un autoctono, magari a base di uve Mammolo e Sangiovese.
Crapiata di Matera
Chiudendo un ideale tris di zuppe lungo la penisola, proponiamo questo piatto tipico materano, dal nome tanto suggestivo quanto enigmatico e ancora una volta basato sul fruttuoso incontro cereali-legumi. Qui beviamo senza dubbio un Aglianico del Vulture.
Pane di Altamura
Uno dei migliori pani al mondo, rigorosamente a base di grano duro. Tra i pochi da mangiare anche ‘liscio’, come avrebbe detto il mitico blues brother John Belushi. Gli si può abbinare di tutto, dal leggerissimo allo strutturatissimo. In Puglia la nostra via non può che essere ‘’en rose’’.
Spaghetti al filetto di pomodoro
Siamo preferibilmente a Gragnano per saggiare un altro capolavoro a base di grano duro. Simbolo per eccellenza della cucina italiana, al suo cospetto qualsiasi calice può essere di troppo. Proviamo con un Falanghina della zona, ma di nuova generazione. Non sempre ‘’old is best’’.
Pizza margherita al filetto di pomodoro
Se gli spaghetti di cui sopra sono un indiscusso simbolo nazionale, forse lo stesso può dirsi, su scala partenopea, della pizza margherita. Il suo probabile inventore Raffaele Esposito e la celebre regina ci permetteranno questa rivisitazione. Con il pomodorino, meglio se di Corbara, il piatto si offre alla leggera effervescenza naturale di un Asprinio di Aversa, questa volta, forse, vecchia maniera.
Casatiello arianese con grano
Non c'è Pasqua ad Ariano Irpino senza i casatielli. Previsti in versione dolce o salata, hanno in comune alcuni ingredienti. Il tipo dolce prevede, in genere, l'utilizzo del riso, quello salato punta invece sul grano, fatto cascare nell'impasto di ricotta e uova per rendere il piatto unico da un punto di vista non solo nutrizionale. Beviamo convintamente un aglianico lasco, vitigno tipico della zona, in via di recupero.
Cuccìa
Passiamo ai dolci e scendiamo fino in Sicilia per assaporare questo piatto nato povero, rustico e forse salato, ma addolcitosi fino a consentire l’abbinamento con un elegante Moscato di Siracusa. Per la festa di Santa Lucia, ma non solo.
Grano dei morti
Risaliamo fino alla Puglia interna, ma idealmente affacciamoci nell’area greco-albanese, da dove forse arriva questo trionfo d’autunno, tra noci, vincotto, cannella, melagrana, cioccolato e altro ancora. Il loro incontro con il grano inchioda alla terra un piatto che nel nome sembrerebbe volerla trascendere. Beviamo un Primitivo dolce. Ancestrale anch’esso.
Pastiera napoletana
Non ce ne vogliano le altre, ma è lei la regina delle torte con il grano, geneticamente primaverile, spiritualmente pasquale, quattro stagioni per i golosi partenopei. Siamo a fine rubrica e azzardiamo un Lacryma Christi liquoroso.
Ettore Zecchino
Il grano, o frumento appartiene alla famiglia delle graminacee ed è un cereale di antica coltura, la cui area d'origine è localizzata tra Mar Mediterraneo, Mar Nero e Mar Caspio. Esso comprende varie specie, tra le quali le più diffuse sono il grano tenero, o Triticum aestivum, dal quale si ricava la farina, e il grano duro, o Triticum durum, dal quale deriva la semola. Il fusto eretto è cilindrico e suddiviso in nodi ed internodi. Nel frumento duro l'ultimo internodo (quello più vicino alla spiga) è pieno, mentre in quello tenero è cavo. Le foglie sono alternate, allungate e parallelinervie, in numero variabile tra 5 e 8. L'infiorescenza è una pannocchia spiriforme, detta spiga, costituita da un asse centrale, chiamato rachide, sul quale sono inserite le spighette, in numero di 18-20. Ogni spighetta è racchiusa da due glume, all’interno delle quali troviamo 3-8 fiori. Ogni fiore è costituito da due glumelle, una superiore (palea) e una inferiore (lemma). La glumella inferiore nel frumento duro porta un prolungamento, detto arista o resta, mentre nel tenero questo prolungamento non c'è. Nel complesso, l’apparato radicale è di tipo fascicolato e la maggior parte delle radici è concentrata nei primi 25-35 cm di suolo. Il frutto del frumento duro è una cariosside di forma ellittica ovoidale con diversa gradazione di colore (dal bianco al rosso brunastro). La cariosside (o chicco) di grano tenero presenta diversi strati sovrapposti, ognuno dei quali ha una composizione diversa. Nello specifico riconosciamo:
La crusca costituisce circa il 14,5% del chicco di grano ed è ricca di fibra, soprattutto insolubile (cellulosa e lignina). Essa contiene inoltre potassio, magnesio e antiossidanti, come acidi fenolici e antocianine.
Lo strato aleuronico è ricchissimo di vitamina B3, conosciuta anche come niacina, di lisina, che è un amminoacido essenziale, e di β-glucani e arabinoxilani (1), che aiutano la proliferazione di una flora batterica intestinale di tipo protettivo e che hanno un’azione ipo-colesterolemizzante e ipoglicemizzante (soprattutto i β-glucani). Lo strato aleuronico contiene inoltre acidi grassi saturi e sali minerali, come fosforo, magnesio, manganese e ferro.
L’endosperma rappresenta la frazione maggiore del chicco di grano, in quanto ne compone circa l’83% del peso. I suoi componenti primari sono le proteine (prevalentemente gliadine e glutenine) e l’amido, costituito a sua volta da catene di amilosio e amilopectina, le cui percentuali possono variare sensibilmente. Il valore alimentare del grano e delle farine da esso ottenute deriva proprio dall’elevato contenuto in amido e dal basso contenuto in grassi, che fanno di questo cereale un ottimo alimento energetico. Sono inoltre presenti antiossidanti come tocoferoli (vitamina E) e carotenoidi (2), nonché albumine e globuline (proteine presenti in piccolissime quantità).
Il germe di grano può essere considerato una vera e propria miniera di sostanze nutritive, in quanto offre una significativa dose di acidi grassi insaturi essenziali, vitamine, minerali e proteine. Fra le sostanze che lo compongono, infatti, sono presenti: vitamina E, una molecola con forte attività antiossidante, che aiuta a proteggere il corpo dai radicali liberi; acido folico, utile per la rigenerazione cellulare; tiamina, che aiuta la conversione del glucosio in energia da parte delle cellule; magnesio, che migliora il funzionamento del metabolismo, in quanto cofattore di diversi enzimi; fosforo, che, insieme al calcio, è necessario per la crescita, oltre che per il mantenimento e la riparazione dei tessuti. Infine, il germe di grano è un’ottima fonte di fibre e proteine dal buon valore biologico, nonché di grassi insaturi e polinsaturi (omega 3 e omega 6) che presentano efficaci azioni benefiche sul nostro organismo.
Il grano, contenendo glutine, può tuttavia innescare, in alcune persone, specifiche forme di intolleranza o una reazione immunitaria conosciuta come celiachia. Quest’ultima è una patologia autoimmune, al momento curabile soltanto con l’eliminazione totale del glutine dalla dieta.
Jenifer R Pritchard, Gregory J Lawrence, Oscar Larroque, Zhongyi Li, Hunter Kc Laidlaw, Matthew K Morell, Sadequr Rahman.
Said Moshawih, Rabi'atul Nur Amalia Abdullah Juperi, Ganesh Sritheran Paneerselvam, Long Chiau Ming, Kai Bin Liew Bey Hing Goh, Yaser Mohammed Al-Worafi, Chee-Yan Choo, Shobna Thuraisingam, Hui Poh Goh, Nurolaini Kifli.
Maddalena Pizzulo - nutrizionista
Povere ma belle, grazie alla loro forma affusolata e al colore blu-argenteo, le alici (o acciughe) sono anche salutari per il corpo e per la mente. Altrettante le virtù gastronomiche delle loro carni, riconosciute ormai da millenni in un’area geografica molto vasta, che ha come epicentro il Mar Mediterraneo.
Note già presso le prime civiltà, furono stabilmente utilizzate in cucina dai Greci, inventori di diverse ricette, successivamente perfezionate dai Romani e messe al centro dell’alimentazione di tutto l’Impero. Come il mitico ‘garum’, uno dei condimenti più famosi e amati nell’epopea dell’Urbe, che, ingentilito quanto basta, è arrivato fino ai giorni nostri, dando vita alla celebre e preziosa colatura di alici di Cetara.
Le acciughe hanno quindi attraversato da protagoniste la storia gastronomica europea, come attestano i leggendari banchetti di Trimalcione, e, soprattutto, gli scritti di Marco Gavio Apicio, gastronomo per antonomasia dell’antichità romana.
Pescati e consumati in una vasta area del mondo, con prevalenza nell’Oceano Atlantico orientale e in tutto il bacino del Mediterraneo, questi piccoli pesci azzurri hanno avuto in Spagna e in Italia la consacrazione definitiva. Gli esemplari iberici del Cantabrico sono da più parti riconosciuti come i migliori al mondo, anche grazie al know how fornito alla filiera locale da tante famiglie di pescatori italiani (soprattutto siciliani) lì trasferitisi per cercare fortuna e capaci di esportarvi le migliori tecniche di pesca e preparazione dell’alimento apprese nella natia patria.
Tracce di questa primazia sicula sono rinvenibili in capolavori della letteratura, come ‘I Malavoglia’ di Giovanni Verga, o nei potenti affreschi de ‘La lunga vita di Marianna Ucria’, di Dacia Maraini, e del ‘Commissario Montalbano’ di Andrea Camilleri.
I pescatori vengono non di rado immortalati nell’atto violento della cattura di poveri animali guizzanti e sanguinanti in grandi reti calate in acqua nel cuore della notte. Un’operazione che, a partire dal secondo dopoguerra, ha portato a una vera e propria rivoluzione dei paesaggi marini notturni, popolati da lampare proiettanti ingannevoli luci, formidabili esche per i malcapitati pesciolini.
‘Le alici fanno il pallone’, spiega in una sua celebre canzone Fabrizio De Andrè, immortalando l’attimo in cui si ammucchiano in grandissimi banchi circolari, per sfuggire ai tonni, rischiando, in compenso, di cadere preda delle reti umane. Magari, le famose ‘menaiche’, di greca memoria, oggi utilizzate solo in pochissimi luoghi, soprattutto nel Cilento, e capaci di catturare, dissanguandoli, gli esemplari più grandi.
Novelle ‘palomme’, fatalmente roteanti intorno alla morte, le nostre acciughe diventano vita per i poveri pescatori e per le loro famiglie. Un’esistenza potenzialmente prospera tra la primavera e l’autunno, quando le alici si avvicinano di più alla riva e rilasciano in mare tantissime larve, denominate bianchetti, molto apprezzati, nelle cucine di mare, come ingrediente per frittelle di vario genere. Le acciughe, d’altra parte, sono saldamente in testa nella graduatoria dei pesci più pescati e più consumati dagli italiani.
Erroneamente confuse con le alici sono spesso le sarde o sardine, molto simili e spesso conviventi, ma appartenenti a una specie diversa. Non ce ne dimenticheremo, anche se non possiamo non citarle in alcune ricette e, prima ancora, per una sorprendente parentesi cinematografica. Quella dell’addio alle scene, sorniona come nel loro stile, dei tre fratelli Marx, alle prese con una scatola di sardine e una famosa collana dei Romanoff, nello sbiadito ‘Una notte sui tetti’, film che può vantare una breve apparizione dell’ancora sconosciuta Marylin Monroe.
Veniamo alle ricette, dove, come anticipato, diamo spazio anche alle più panciute sarde.
In un ideale viaggio di avvicinamento ai nostri lidi, riserviamo solo una citazione all’Asia, geo-storicamente marginale rispetto al nostro pesce, ma straordinariamente recettiva, tanto da ‘inserirlo’ in talune preparazioni, soprattutto salsate, delle principali cucine continentali.
Discorso diverso per l’Africa, tra le patrie del garum, almeno nella sua produzione ‘industriale’, in età imperiale romana, con i grandi stabilimenti tunisini e algerini. Molti piatti europei a base di alici hanno quindi, un corrispettivo africano, con poche varianti (per lo più nell’uso delle spezie).
Crostini di alici del Cantabrico con burro o pomodoro
Come già altre volte, la Spagna diventa, in questa rubrica, la porta d’Europa. Ed esordiamo, quindi, nella maniera più semplice, ma al tempo stesso, più capace di far risaltare le qualità del prodotto fresco. Le acciughe del Cantabrico sono infatti considerate le migliori del mondo, per l’ossigenazione delle carni, dovuta all’incontro tra correnti di acqua fredda dell’Atlantico con quelle più temperate delle Azzorre. Ne derivano pesci più grossi e più grassi, con una sapidità particolarmente apprezzabile in questa versione basica. Mangiato da solo è un cibo al quale abbinare un grande Cava. Se parte di varie tapas, regoliamoci in base al resto.
Espeto de Sardinas
Piatto identitario della città di Malaga, questo spiedino di grosse sardine può essere domato da un buon bianco secco. Siamo, tuttavia, in Andalusia, e, quindi, aggiungiamo qualche altra portata e non perdiamo l’occasione di bere uno Sherry Fino. Esperienza mai banale.
Bocartes a la cazuela
Salutiamo la Spagna con queste acciughe in casseruola, tipiche proprio della Cantabria. Per il vino ci orientiamo su un rosato di Alicante.
Pinzimonio francese con salsa di acciughe
Ci trasferiamo in Francia, dove con le salse ci sanno decisamente fare. Quella di acciughe è un classico, come le verdure in pinzimonio da intingere nel piatto. Per non far torto al Piemonte e alla sua bagna cauda ordiniamo un timorasso.
Pissaladiere
Questa preparazione nizzarda richiama le alici sin nel nome, che tradisce il legame con la salatura del pesce. Si tratta, in particolare, di una focaccia con cipolle, acciughe e olive nere. Perfetta con un rosato di Bandol. Soluzione ottima anche per i tanti esempi simili della nostra Penisola.
Hamsili Pilav
In un ideale girotondo intorno all’Italia ci allarghiamo fino alla Turchia dove, ad Istanbul, si può assaggiare questo sontuoso tortino di riso e alici. Per il vino meglio soprassedere. Ripetendo la ricetta in Italia, scegliamo un internazionale sauvignon blanc.
Sarde in saor
Entriamo finalmente in Italia, dalla cosmopolita Venezia, un tempo anti-turca. E ci fermiamo in un bacaro ad ordinare questo super-classico cittadino, abbinandolo a un pinot bianco dei vicini Colli Euganei.
Bigoli in salsa
Rimaniamo in Veneto, ma diamo il là a un genere diffuso, con molte varianti, in buona parte del Nord. I bigoli sono una sorta di spaghetti e la salsa è quella di alici. Citiamo almeno i parenti stretti, nella versione alle sardelle, del Mantovano, e riserviamo al Sud un paragrafo a parte. In ogni caso, ci godiamo un Soave, appellativo che daremmo tranquillamente anche al piatto.
Tiella di patate e alici
L’Adriatico è il mare italiano più frequentato dalle alici. Come ricetta ci ancoriamo a un piatto all’occorrenza anche meno costiero. Questa preparazione abruzzese (volendo, universale) prende il nome dal recipiente in cui sono cotti gli ingredienti. L’abbinamento tra le due principali componenti del piatto è eccezionale nella sua semplicità e l’Abruzzo offre bianchi adatti alla circostanza. Non male sarebbe anche un cerasuolo.
Alici scattiate
Versione calabrese, e quindi piena di peperoncino, di una cottura in padella (con il rischio degli schizzi pronosticati nel nome). Rosso per rosso, ci orientiamo su un gaglioppo, ma ancora giovane.
Pasta con le sarde
Arcinoto piatto siciliano dalle leggendarie origini arabe, arricchito dal finocchietto selvatico, e addolcito da uva passa e pinoli. Uno dei primi ‘mari e monti’ della storia, e capostipite di molte ricette simili, sparse nell’Italia meridionale. Lo si può accompagnare con un bianco della Doc Alcamo.
Sarde a beccafico
Degli uccelli del nome hanno solo l’aspetto, ma la sfida aperta ai nobili consumatori dei costosi pennuti stuzzica fortemente la fantasia dei ‘continentali’. Molte le varianti sull’isola, ma unica l’origine popolare. Un piatto ‘classista’, nato per ‘consolarsi’ beffardamente ed evoluto in una delizia per tutti. Un Etna Bianco, per l’autorevolezza intimorente del fuoco evocato, mette a tacere tutte le possibili liti sulla primogenitura della ricetta.
Alici fritte
Risalendo lungo il Tirreno, ci fermiamo in Campania, dove la frittura è un’arte. La spumantizzazione un po’ meno. Ma non per alcuni bianchi irpini del nuovo corso.
Alici mbuttunate
Ripiene con formaggio caprino e uova, queste acciughe cilentane possono tastare i progressi nella vinificazione del promettente fiano autoctono.
Alici alla parmigiana
Sempre dal Cilento arriva una ricetta molto simile alla precedente, ma sugosissima, che può sposarsi in rosso, con una ‘simpatica’ barbera del posto.
Pizza con le alici
Ultima tappa campana, questa volta nelle aree interne, dove si prepara una pietanza festiva, piuttosto secca e salata, molto in grado di fare ‘atmosfera’. Il freddo appenninico ci spinge a desiderare un buon aglianico di medio corpo.
Bagnun di acciughe
Portata calda e ‘pomodorosa’ a metro zero, consumata dai pescatori liguri direttamente in barca.
Risaliti fino al Mar Ligure, abbiamo chiuso il cerchio e siamo tornati a De Andrè, che ai pensionati dei vecchi moli faceva bere un malinconico ‘vino forte’, capace di far dimenticare ogni affanno. Noi ci trattiamo meglio, e puntiamo su un buon Rossese di Dolceacqua Doc.
Ettore Zecchino
Appartenenti alla grande famiglia del pesce azzurro, le alici sono esemplari di piccole e medie dimensioni, diffusi in tutto il Mar Mediterraneo e nelle acque europee dell'Oceano Atlantico. Chiamate anche acciughe, appartengono, più precisamente, alla famiglia delle Engraulidae, sono sottili e piccole, hanno una forma affusolata e un colore argento sul ventre e sui fianchi, che diventa azzurro, con gradazioni verdi, sul dorso. Hanno una testa allungata e ampie aperture branchiali, mentre il muso è sporgente e appuntito. La bocca è grande, tanto da superare il bordo posteriore degli occhi, che sono di dimensioni importanti e dotati di una membrana adiposa negli esemplari adulti. Nella mascella inferiore, più corta, hanno dei piccoli denti. Possiedono squame facilmente rimovibili e la linea laterale non è evidente. Generalmente misurano dai 6 ai 10 centimetri e raggiungono al massimo i 20 centimetri. Le alici vivono in branchi, costituiti da numerosi esemplari. Durante il periodo invernale le si trova a circa 100-200 metri di profondità, mentre risalgono verso la superficie in primavera, in prossimità delle coste, dove avviene la riproduzione. Solitamente ciò si verifica dopo i primi 12 mesi di vita e una femmina può depositare fino a 40mila uova, che si schiuderanno dopo due, tre o quattro giorni. Il loro nutrimento principale è dato dallo zooplancton.
Le alici forniscono un ottimo apporto di grassi mono e polinsaturi, in particolar modo gli acidi grassi omega-3, che hanno mostrato un ruolo importantissimo nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, in virtù della loro azione ipocolesterolemizzante.(1) Allo stesso tempo, sono fonte di proteine nobili, cioè complete di tutti gli amminoacidi usati dal nostro organismo in fase di sintesi proteica per il rinnovo dei tessuti o per la sintesi di ormoni.(2) Inoltre sono ricchi di sali minerali, come:
· calcio, fondamentale per la salute delle ossa, per la coagulazione sanguigna, per la trasmissione di impulsi nervosi e per i processi di secrezione ormonale, oltre che per la contrazione muscolare;
· selenio, importante per la funzione tiroidea e per l’attività di sistemi enzimatici che proteggono dall’eccesso di radicali liberi;
· potassio e iodio, che potenziano i muscoli e combattono lo stress ossidativo, regolando quindi il buon funzionamento del sistema neuroendocrino e muscolare;
· fosforo, utile per la prevenzione dell’osteoporosi, poiché rafforza la matrice ossea, cosi come la presenza della vitamina b12;
· ferro, facilmente assimilabile, indispensabile per la formazione dei globuli rossi.
Infine offrono riboflavina, una vitamina del complesso B utile per il corretto funzionamento dell’organismo, e una discreta quantità di vitamina D, che migliora il sistema immunitario e che facilita l’assorbimento del calcio.
Le alici sono benefiche per il nostro organismo, ma andrebbero consumate con moderazione. Non sono infatti indicate per chi soffre di gotta, perché hanno elevati livelli di acido urico, o per chi è iperteso, dato che hanno un alto contenuto di iodio. Occorre inoltre tenere presente che, se non abbattute correttamente, possono divenire veicolo di intossicazione alimentare.
1)ADMINISTRATION OF PROTEIN HYDROLYSATES FROM ANCHOVY ( ENGRAULIS ENCRASICOLUS) WASTE FOR TWELVE WEEKS DECREASES METABOLIC DYSFUNCTION-ASSOCIATED FATTY LIVER DISEASE SEVERITY IN APOE-/-MICE
2)ANTI-ATHEROGENIC EFFECT OF 10% SUPPLEMENTATION OF ANCHOVY ( ENGRAULIS ENCRASICOLUS) WASTE PROTEIN HYDROLYSATES IN APOE-DEFICIENT MICE
Jessica Maria Abbate, Francesco Macrì, Francesca Arfuso, Carmelo Iaria, Fabiano Capparucci, Carmelo Anfuso, Antonio Ieni, Luca Cicero, Giovanni Briguglio, Giovanni Lanteri.
Maddalena Pizzulo - nutrizionista
Verdi, gialli o rossi, in successione cromatica legata ai tempi di maturazione, i peperoni, originari dell’area andina, allietano da qualche secolo le tavole mediterranee. Se la primogenitura, molto più antica, è ancora contesa tra molti Stati dell’America Centromeridionale, come Brasile, Bolivia, Messico e Jamaica, fu certamente Cristoforo Colombo ad avviarne la diffusione negli altri continenti, a partire dalla fine del 1400. I primi ad essere accolti ed utilizzati sono stati i peperoncini (così chiamati per la loro piccantezza, che ricordava il pregiato pepe indiano). Le varianti dolci, come altri ortaggi ‘americani’, hanno invece scontato un periodo prolungato di diffidenza. Utilizzati a lungo come pianta ornamentale, e per altri usi non alimentari (anche come colorante in pittura, con il grande Leonardo), hanno faticato molto ad ascendere ai vertici della gastronomia. Non a caso, ancora tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, Vincenzo Corrado, pur ammettendo il loro crescente successo, li apostrofava come ‘’cibo rustico e volgare’’. E non a caso, occupano un posto di rilievo nelle ‘nature morte’ solo in pieno Novecento, pur rifacendosi con gli interessi, grazie ad alcune memorabili rappresentazioni di Renato Guttuso, Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis, Mario Mafai.
Un ortaggio all’avanguardia, dunque? Andiamoci piano. Non è il caso di arrossire come un peperone, ma bisogna ammettere che le fortune artistiche del nostro sono ancora in corso.
Sfortunato nell’arte, fortunato in cucina? Si direbbe proprio di si, vista la sbalorditiva quantità di ricette che lo coinvolgono e vista la sua iconica riconducibilità al piatto che di volta in volta se ne ricava. Come in ‘Peperoni ripieni e pesci in faccia’ di Lina Wertmuller, film non memorabile dell’ultima regista italiana Oscar alla carriera, ma che ben individua una specialità culinaria della protagonista Maria (Sophia Loren). Quanto agli strascinati ai peperoni cruschi di ‘Basilicata Coast to Coast’, non bisogna essere fan di Rocco Papaleo, per coglierne la forte valenza identitaria territoriale. E, quindi, schivando il sole di mezzogiorno, che ci farebbe ancora una volta arrossire come un peperone (la citazione questa volta è canzonettara e ci porta dritti a un’autorità come Edoardo Vianello), ripariamo a tavola, se possibile sotto un ombroso pergolato.
L’Italia ha da tempo rinunciato allo status di nazione esportatrice di peperoni (pur producendone in quantità considerevole, soprattutto nel Centro-Sud), ma non certo a quella di faro gastronomico, come suggeriscono le ricette scelte.
Gazpacho
Esordiamo con la tipica zuppa fredda iberica, già incontrata a proposito del pomodoro. Certo, il peperone è secondo per quantità, ma se la batte per qualità, in questo piatto, che da rosso cupo, come sa essere, merita un matrimonio enologico in bianco aromatico.
Peperonata
Contorno tipico del Sud Italia, ha nel nome la sua piena esplicazione e la sua suadente ragion d’essere. Elegante l’abbinamento con un buon rosato meridionale.
Ratatouille
Come per il gazpacho, replichiamo, convinti che i peperoni di tutti i colori possono dare quel qualcosa in più, capace di rendere unico questo piatto provenzale. Misteriosamente, alcuni chef lo abbinano a grandi rossi bordolesi, altri a bianchi aromatici alsaziani. Delittuoso non puntare su un rosato di Bandol, locale, ma di rilievo mondiale.
P.S.
Nell’italiana ciambotta il ruolo del peperone non ci sembra così cruciale, ma, in estate, perché privarsene?
Bagna Cauda
In pieno revival non potevamo astenerci da un ripasso di questo piatto iperconviviale, che, dopo il cardo gobbo di Nizza Monferrato, pretende, come obbligatorio, anche il peperone, meglio se quello quadrato di Carmagnola o di Asti. La tradizione ci impedisce di andare oltre una bottiglia di Barbera, Freisa o Dolcetto. Anche se, alcuni bianchi……
Friggitelli in umido
Sempre un rosato, questa volta campano, accompagna perfettamente i peperoni verdi fritti con sugo di pomodoro. Nel capoluogo è un’istituzione, nel resto della regione un’imitazione, non raramente meglio eseguita.
Peperoni imbottiti
Piatto preparato in tutto il mondo, con infinite varianti. Per non far torto a nessuno, sostiamo in Irpinia, dove, nel periodo natalizio, le case traboccano di odori di vin cotto. La vendemmia è ormai indietro, lontana, ma fiammeggiano, nelle dispense, altre delizie rosse, più acetate che vinose, senz’altro balsamiche, arricchite con pinoli, uvetta, mollica di pane. Un trionfo di odori vagamente etilici che renderebbe arduo un ragionato accoppiamento vinicolo. Ma, al cuor non si comanda. E poi, siamo a Natale. Se non ora, quando aprire una delle tante meraviglie spumantizzate della moderna Irpinia enoica?
Cicatielli alla ciambuttell (a)
A sindacabilissimo parere di chi scrive, nelle sue migliori espressioni, un vero capolavoro di semplicità, anzi di apparente disordine, se consideriamo l’allegra promiscuità pomodor-peperonara, calante su un piatto di pasta fatta in casa, magari altrettanto ‘disomogenea’. Siamo a Grottaminarda, e un assaggio del genere può meritare molti chilometri, soprattutto nella sua versione rarissima e di esecuzione ancora più complessa, che prevede l’aggiunta di pulieo, un’erba aromatica della zona. D’altra parte, si sa, ‘’tutte le strade portano a Grotta’’. Ultimamente, anche qualcuna del vino, soprattutto sul versante aglianico, adattissimo a questo piatto.
Trenette al pesto di peperoni
Come con la più celebre salsa genovese, beviamo un fresco Pigato, buon compagno per un leggero pranzo estivo.
Pasta al sugo con formaggio grattugiato e peperoncino piccante
Potrebbe essere scelto come piatto tra i più rappresentativi dell’Italia meridionale. Semplicissimo e gustosissimo, ‘rafforza’, soprattutto se il peperoncino è leggermente sott’olio, una ricetta basica, donandogli un carattere sapido e robusto e consentendogli di sfidare un buon vino rosso. Per trasgredire quotidianamente, anche grazie a un buon Montepulciano d’Abruzzo.
Strascinati ai peperoni cruschi
Piatto stratipico di una regione piccola, ma ormai in grado di farsi riconoscere ovunque, anche a tavola. E in Basilicata si beve Aglianico del Vulture e si utilizzano i premiatissimi peperoni di Senise.
Baccalà alla pertecaregna
Ancora una volta il peperone crusco, super snack lucano, imprime tutta la sua dirompente personalità, su un pesce montanaro come il baccalà. Questa volta l’esclusiva del piatto non è assoluta (Irpinia docet), ma la Malvasia bianca di Basilicata rifresca e allevia, almeno in parte, le terribili fatiche della vita contadina, ideale genitrice di questa pietanza.
Pollo con i peperoni
Un diffusissimo spot televisivo suggerisce l’abbinamento con una birra di qualità. E sia, ma solo se in cantina manca un buon Chianti Classico.
Coniglio con i peperoni al vino rosso
Variante ispano-hemingwayana, per la quale suona la campana di un buon tempranillo.
Gulash
Tutti conoscono questo aromatico spezzatino di manzo ungherese che, certamente, non può prescindere dalla paprika, spezia ricavata dal peperone, onnipresente nella cucina magiara. L’Ungheria vinicola è lontana dai fasti di 100 anni fa, ma un rosso secco della zona di Eger non ha molto da invidiare a terroir ben più noti di altre regioni europee.
Nduja
Regina indiscussa della cucina calabrese, è un insaccato spalmabile piccantissimo, perfetto in mille versioni e oggetto di accostamenti sempre più arditi. Tradizionale, invece, è il rapporto con il corregionale gaglioppo, un vitigno pieno di carattere.
Salsicce, peperoni e patate
Bomba calorica molto apprezzata proprio ad Ariano Irpino, che rivendica il gradino più alto del podio nella specialità. ‘’De gustibus non disputandum est’’, ma, effettivamente, le piccole e magre salsicce aromatizzate al finocchietto, ideali per questa preparazione culinaria, non si trovano facilmente altrove. L’aglianico lasco (altro prodotto locale) si sta facendo strada e merita un certo incoraggiamento.
Maiale in agrodolce con peperoni
Moltissimi chilometri ed alcuni fusi orari più ad est, troviamo un piatto che identifica una delle più grandi cucine del mondo. Replicato, con sostanziale fedeltà alla ricetta originale cantonese, dalla gran parte dei ristoranti cinesi sparsi nel mondo, di internazionale può vantare anche un eccellente abbinamento vinicolo con il nobile pinot noir.
Chili con carne
Inevitabile una puntatina nei luoghi di origine del nostro ortaggio, capace di dare personalità assoluta a un piatto che pure, di ingredienti principali ne annovera altri. Siamo nel caliente Messico, ma beviamo un bordolese carmenere.
Cioccolata fondente al peperoncino
Il peperoncino è abbinabile, e spesso abbinato, a qualunque altro cibo. Non stupisce quindi più di tanto questo lussurioso fine pasto, che, piuttosto, ci autorizza ad osare. Un distillato forse è troppo per questa rubrica, ma due dita di un Porto o di un Barolo Chinato potrebbero esserci perdonate.
Ettore Zecchino
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