I protagonisti delle due culture

    Cosimo Risi

    Cosimo Risi

    Laureato in Scienze Politiche all’Università di Napoli Federico II, è in carriera diplomatica fino al 2016. Copre vari incarichi alla Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione Europea, a Bruxelles. Da ultimo è Ambasciatore e Rappresentante permanente presso la Conferenza del Disarmo a Ginevra e Ambasciatore presso la Confederazione Elvetica e il Principato di Lichtenstein, a Berna. Insegna Relazioni internazionali al Diploma Alti Studi Europei presso il Collegio Europeo di Parma e Politiche europee per la ricerca e l’innovazione presso l’Università di Napoli Federico II. Professore ospite in vari atenei, è Commendatore al merito della Repubblica italiana e commentatore di affari esteri per varie testate.

    Ambasciatore, come è iniziato il 2023 in politica internazionale?
    Come è finito il precedente. La guerra in Ucraina si avvia a compiere il  primo anno di vita e non sembra destinata a un epilogo immediato. Al momento, per dirla tutta, la mediazione in campo più significativa è quella turca, ma i contendenti sembrano bloccati su posizioni intransigenti.
    Una novità importante si segnala in Israele, con Benjamin Netanyahu rieletto a capo di un Governo spostato più a destra, con presenze, al suo interno, di partiti rientranti nella galassia dell’estremismo religioso.
    Non meno preoccupante è la crescita della repressione in Iran, dove, proprio in queste prime settimane dell’anno, sono aumentati i processi sommari e le esecuzioni senza possibilità di appello. Sorte toccata anche a un ex Sottosegretario alla Difesa, cittadino iraniano e britannico.
    Complessivamente,  il panorama non è dei migliori.

    E cosa si prospetta di importante nei prossimi mesi?

    Si spera nel decollo di un negoziato serio per la guerra in Ucraina. Al momento Kiev chiede di tornare ai confini antecedenti febbraio 2022. I Russi ammoniscono di tenere conto dei nuovi assetti determinati dal conflitto. La diplomazia è impegnata a trovare una soluzione di compromesso, mentre la politica si biforca nel presenzialismo sempre più spinto di Volodymyr Zelens'ky e Signora e l’enigmatica chiusura, in un ostentato isolamento, di Vladimir Putin.

    Quale ruolo potrà e/o dovrà avere il nostro Paese?

    Il Governo, accreditato di una tendenza filo-russa, si mostra invece in linea con il precedente, continuando a sostenere la resistenza ucraina, nel quadro di una politica comune dell’Occidente.
    Il nostro ruolo in ambito internazionale si caratterizza prevalentemente nel quadro europeo, dove cerchiamo di far avanzare alcuni nostri interessi in materia energetica e industriale. Dobbiamo puntare, ad esempio, a rendere il modello di Next Generation EU un caso non isolato. Senza dimenticare i problemi tutt’altro che risolti, di una immigrazione incontrollata verso le nostre coste. Una ragione in più per provare a recitare un ruolo da co-protagonista, in passato spesso avuto, nell’area mediterranea.

    Il mondo verde, tema principale delle Due Culture 2023, è sempre più in pericolo. Crede che azioni in sua difesa, già in agenda nei programmi delle principali istituzioni internazionali, siano concretamente possibili nei prossimi mesi?

    Sono possibili e soprattutto doverose. Bene fa Biogem a dedicare il meeting le ‘Due Culture’ del 2023 indirettamente anche a questo tema. La situazione generale è tra l’altro peggiorata ulteriormente proprio a causa della guerra in Ucraina, che ha determinato il ritorno, sia pure parziale, al carbone, come conseguenza della crisi energetica in corso, aggravata dalla riduzione e dal blocco delle forniture di gas provenienti dalla Russia di Putin.

    E riguardo alla pandemia, non del tutto sganciata dal grande tema della tutela dell’ambiente, quali contromisure significative sta approntando l’Organizzazione Mondiale della Sanità?

    L’OMS sta evidenziando che la pandemia ha una coda lunga, soprattutto nei luoghi da dove è partita (Cina), e che, quindi, non va minimamente sottovalutata. Un secondo allarme riguarda la previsione di nuove pandemie nel futuro più o meno prossimo. Su tutte, quella generata dalla crescente resistenza batterica agli antibiotici.

    Ritiene che l’OMS debba cambiare assetto? E, in ogni caso, quale giudizio si sente di esprimere sul suo operato in era pandemica?

    Non sono un esperto della materia e quindi non azzardo giudizi netti. Inizialmente l’Organizzazione Mondiale della Sanità è stata tacciata di partigianeria nei confronti della Cina e su questo non sono in grado di pronunciarmi. Direi comunque che l’OMS ha un organigramma insufficiente e grandi difficoltà operative. Il suo ruolo, attualmente, è soprattutto quello di dare direttive e indicazioni agli Stati membri e ad altre organizzazioni internazionali.

    Quali Stati hanno reagito meglio all’aggressione del COVID-19?
    Sul fronte europeo, l’Italia si è mossa con una certa tempestività nell’attuare misure precauzionali e, successivamente, nel portare avanti campagne vaccinali di successo. Altri Paesi hanno inizialmente sottovalutato il problema. Basti ricordare il discorso, poi rettificato, del Premier britannico Boris Johnson, sull’inevitabilità di una immunità di gregge da raggiungere con un certo numero di vittime sul campo.
    Ha reagito bene l’Unione Europea, soprattutto grazie all’intuizione di centralizzare l’acquisto e la distribuzione dei vaccini.

    Per l’Europa sarà più gravido di conseguenze storiche il lungo periodo pandemico o quello bellico, che si avvia ad essere altrettanto duraturo?

    La pandemia ci ha segnato dal punto di vista dei comportamenti. L’Europa si è caratterizzata nella storia recente come il luogo delle libertà individuali e le ripetute chiusure hanno determinato una sorta di shock psicologico, particolarmente significativo per i più giovani.
    La guerra in Ucraina è invece responsabile di uno shock politico e militare, determinato dal fatto che per la prima volta dopo la seconda Guerra Mondiale, l’Europa, non esente in passato da feroci conflitti regionali, è oggi al centro di un conflitto che vede protagonista una superpotenza mondiale. Ne è nato uno scossone all’ordine internazionale, che ha spinto l’Occidente nel suo insieme a reagire. La minaccia all’Ucraina è stata percepita come indirettamente rivolta a noi stessi.

    L’Ucraina entrerà nella NATO e nell’UE?

    Nella NATO mi sembra poco probabile, almeno per ora, come ammesso a mezza bocca dalla stessa Ucraina. Un simile passo sarebbe infatti considerato dalla Russia come una provocazione inaccettabile.
    Per quanto riguarda l’adesione all’Unione Europea, c’è stata indubbiamente un’accelerazione degli eventi. I negoziati di adesione prevedono un percorso che richiede tempi lunghi e l’unanimità dei Ventisette in tutte le fasi, dall’avvio alla conclusione dei negoziati. A Trattato costante, l’Ucraina dovrà ragionevolmente aspettare qualche anno.

    Il primo quarto di millennio, nonostante evidenti arretramenti, può dirsi ancora americano. Sarà così anche per gli altri tre?

    Gli Stati Uniti hanno il potenziale per resistere e prosperare, grazie alla loro inventiva e alla riconosciuta capacità di assorbire il meglio dagli altri Paesi. Direi quindi di si, anche se dovranno  accettare una qualche forma di condominio.

    I problemi maggiori per gli equilibri occidentali arrivano dalla Cina, dalla Russia, dal ‘solito’ Medio Oriente o dall’emergente Africa?

    Per gli Usa il problema numero uno è la Cina, con la quale è in corso una fortissima competizione economica e tecnologica, con preoccupanti momenti di tensione. Si pensi a Taiwan.  Segue quello, attualissimo, della Russia. Poi quello, ‘endemico’, del Medio Oriente, erroneamente circoscritto alle problematiche connesse alla nascita e all’ascesa dello Stato d’Israele, e del Mediterraneo allargato fino al Golfo.
    L’Africa costituisce un serio problema per lo squilibrio tra la sua imponente crescita demografica e il modesto sviluppo economico. Le ricorrenti ondate migratorie che colpiscono l’Europa sono la conseguenza più vistosa di questa situazione.

    E la ‘sonnacchiosa’ India?

    L’India è una sorta di mistero. Ha infatti una popolazione pari a quella della Cina, con prospettive di superamento, ma i grossi problemi che la affliggono la inducono a tenere un profilo basso. Una condizione che potrebbe non durare a lungo.

    Quali doti deve avere un buon diplomatico?

    La principale dote è proprio la diplomazia, intesa come l’attitudine a prestare la giusta attenzione agli argomenti dell’interlocutore. Obiettivo del diplomatico è infatti arrivare a un’intesa per via di compromesso. La capacità di ascolto e, quindi, la comprensione piena degli argomenti e dei livelli di disponibilità alla trattativa della controparte, sono presupposti indispensabili per raggiungere lo scopo. Un diplomatico deve avere una buona cultura generale, un’apertura mentale che lo porti a bandire l’integralismo e il manicheismo.

    Quali Stati possono contare sulle più importanti tradizioni in materia?

    L’Italia, con la Serenissima Repubblica di Venezia, e prima ancora con i Romani, ha ‘inventato’ la diplomazia. Nella mia esperienza ho sempre trovato esemplare, per la sua capillarità, la diplomazia vaticana, capace di ‘leggere’ il mondo, pur non essendo dotata di un numero elevato di diplomatici di professione. Anche quella britannica, erede della lunga stagione imperiale del Regno Unito, mi ha sempre impressionato positivamente. Come, all’opposto, la piccola e giovane, ma determinatissima diplomazia israeliana. Non ho invece una grande opinione di quella americana, pur sorretta da mezzi straordinari.

    Ci può rivelare i nomi di due grandi diplomatici della storia e di un suo personale punto di riferimento professionale?

    Per fermarci al nostro secolo, citerei Paolo Ducci, un diplomatico di grandi visioni e luminosa carriera, tra i protagonisti della stesura dei Trattati di Roma. Un gigante ancora in vita è lo statunitense Henry Kissinger, inizialmente un professore prestato alla diplomazia e alla politica conservatrice, oggi ascoltatissimo anche dai Democratici.
    Quanto alle mie esperienze dirette, ho cominciato la mia carriera con Renato Ruggiero, un diplomatico dalle brillantissime capacità operative e un maestro di grande statura umana e professionale, premiato, a fine carriera, anche con la nomina, da tecnico, a Ministro degli Esteri.

    Ritiene auspicabile che la ‘diplomazia’ diventi materia di insegnamento scolastico?

    Più che la diplomazia auspico che lo diventi lo studio delle relazioni internazionali. Bisogna spiegare agli studenti quanto e come il mondo sia interconnesso. Per suscitare in loro la curiosità per i fatti del mondo.

    Quali margini di autonomia un Ambasciatore ha rispetto al suo Ministro degli Esteri?

    La risposta si deve cercare nella prassi. Ai diplomatici italiani, ad esempio, viene generalmente lasciato un ampio margine di azione, all’interno di parametri ben precisi. A volte la catena di comando è lenta e il diplomatico deve arrangiarsi. La comunicazione tra Governo italiano e ambasciate non sempre è diretta.

    E quale rapporto si ha con il mondo dei servizi segreti?

    Quasi naturale, più o meno intenso in relazione all’importanza strategica della sede diplomatica.

    Preferisce il sistema di reclutamento dei diplomatici statunitense o quello europeo?

    Quello europeo non è esattamente uniforme. Un progetto di riforma in Francia prevede, ad esempio, la nomina politica degli ambasciatori, con le conseguenti proteste dei diplomatici professionali. In Italia abbiamo avuto casi sporadici di ambasciatori non di professione, circoscritti, per lo più, al periodo post-bellico, anche a causa della oggettiva carenza di diplomatici non compromessi con il Regime. Un’eccezione è stata la recente nomina, da parte del Governo Renzi, di Carlo Calenda come Rappresentante Permanente presso l’Unione Europea a Bruxelles. Il suo incarico durò molto poco: a dimostrare quanto la nomina fosse stata frettolosa. Al sistema professionale e al livello di competenza che dovrebbe garantire vanno senza dubbio le mie preferenze.

    L’ambasciata italiana più ambita?
    Quella di Washington, la capitale dell’’Impero’.

    E quella più bella?

    Probabilmente Parigi, anche per la vita spumeggiante che promette.

    Una sua graduatoria delle cucine nelle grandi ambasciate del mondo?

    Bisognerebbe averle provate tutte! In realtà spesso nelle ambasciate si ricorre a una cucina internazionale, fruibile da tutti e perciò standardizzata. La cucina italiana è apprezzatissima ed è una delle carte a nostra disposizione, non sempre viene presentata in tutta la sua tipicità.

    Percentualmente quanti accordi si realizzano a valle di una buona cena?

    La cena, in linguaggio diplomatico si dice pranzo o dineur alla francese, serve a creare un rapporto informale per favorire o corroborare un’intesa. Un accordo non si conclude mai a tavola, necessita di processi più lunghi. Le spese di rappresentanza a favore dei diplomatici in servizio all’estero servono proprio all’attività conviviale.

    Il mestiere della diplomazia è spesso invidiato. Quali inconvenienti presenta?

    Il più significativo è l’essere sempre in viaggio e in trasferimento, anche in Paesi scomodi. I divorzi nel nostro mondo sono percentualmente superiori alla media proprio perché, nella maggioranza dei casi, le famiglie rischiano di sgretolarsi e disunirsi a causa della distanza tra i loro membri. La costante riduzione del bilancio della Farnesina sta causando un vulnus al funzionamento delle sedi, la cui manutenzione è sempre meno efficiente. Stanno quasi scomparendo le spese per le  missioni brevi, si privano i giovani diplomatici di occasioni per formarsi  sul campo.

    Quali opere in tutte le arti hanno meglio descritto la vita in ambasciata?

    Focalizzandoci sulla letteratura e limitandoci alla mia esperienza personale, i romanzi di Roger Peyrefitte, belli ma datati, hanno acceso la mia fantasia. Mi viene infine in mente un romanzo di spionaggio, Il Sarto di Panama di John le Carrè: un graffiante e ironico ritratto della vita in una sede periferica del Regno Unito. Vale come metafora del mondo delle Ambasciate e dell’intreccio, di cui sopra, fra diplomazia e Servizi.

     


    Ettore Zecchino

     

     

     


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