Professore emerito di Analisi Matematica presso l’Università Federico II di Napoli, Guido Trombetti è stato Rettore dello stesso Ateneo dal 2001 al 2010, nonché Presidente della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) dal 2006 al 2008.
Nel 2003 è Medaglia d’Oro ai Benemeriti della cultura e dell’arte, consegnata dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Assessore all’Università e alla Ricerca Scientifica dal 2010 e vicepresidente della Regione Campania (dal 2013) al 2015, è autore di numerosi testi scientifici, ma anche di apprezzate opere saggistiche e letterarie. Giornalista pubblicista, è prolifico autore di articoli nei vari ambiti del sapere su quotidiani locali e nazionali.
Professore, da matematico, quante probabilità ha il Napoli di vincere lo scudetto?
Da matematico superstizioso non vorrei rispondere. Da matematico senza aggettivi mi costringe ad ammettere almeno il 90%.
Alla matematica si può approcciare con serietà anche attraverso il gioco, come la storia dell’uomo dimostra inequivocabilmente. Ci può invece ricordare il suo esordio ‘serio’ con il celebre maestro Carlo Miranda?
Ho avuto la fortuna di dare ben tre esami con il professore Miranda (Analisi Matematica 1 e 2 e Matematiche superiori). In più, ho discusso con lui la tesi di laurea, dalla quale scaturirono i miei primi lavori scientifici sulle equazioni a derivate parziali, uno dei grandi strumenti per modellare la realtà fisica.
Eppure, poteva essere un ingegnere?
In effetti, mi ero iscritto ad Ingegneria, ma dopo un anno ho cambiato, sedotto dalla matematica pura.
Quale ricordo ha della sua adolescenza e giovinezza pre-lavorativa?
Sono ricordi ormai avvolti in una nebulosa. Certamente ho grande nostalgia del periodo in cui giocavo a calcio con una squadretta del Vomero, come centrale difensivo. Ma anche del mio passato in atletica, con le vittorie nella corsa veloce a livello provinciale. O delle letture compulsive e dei tanti cineforum. Poi, dopo la prematura morte di mio padre, cambiò tutto. Mio fratello e mia sorella erano infatti più piccoli di me e avvertii subito la responsabilità del capo-famiglia. Da quel momento mi dedicai quasi esclusivamente allo studio, anche se ho giocato a calcetto fino a 50 anni e oltre.
Forse in quegli anni è nata in lei la curiosità dell’intellettuale a tutto tondo?
Amo dire che non faccio bene niente perché mi piace troppo fare tutto. E non la consideri un’espressione di falsa modestia.
Tornando alla matematica, può indicarci i suoi maggiori successi e le linee guida del suo impegno professionale?
Il periodo più fecondo e intenso fu quello trascorso a Parigi, tra la fine degli anni ‘70 e i primi ‘80, quando collaborai con Pierre Louis Lions, futura Medaglia Fields, occupandomi di problemi di ottimizzazione.
E’ più facile per un grande matematico essere contemporaneamente un buon umanista rispetto al caso inverso?
Direi di no. La cultura è una e si nutre di curiosità, che non conosce confini.
L’uomo ha imparato prima a scrivere o a far di conto?
Secondo me a far di conto, perché contare le pecore era una necessità, come contare i nemici. La scrittura è stata invece a lungo preceduta e ben sostituita dalla tradizione orale.
Dopo la rivoluzione del linguaggio, la rivoluzione dei numeri può essere considerata la più importante nella storia dell’uomo?
Direi di no. Il linguaggio è ovviamente alla base di tutto, ma la seconda più grande rivoluzione di sempre è quella informatica, che abbiamo avuto la fortuna di intercettare in questi anni, e che, secondo me, ha inciso e inciderà più della stessa scrittura, cambiando i paradigmi espressivi, e, in prospettiva, anche il lavoro degli storici. Tutto questo è molto affascinante, come lo è notare la naturalezza di approccio a questo nuovo mondo da parte dei nativi digitali.
La matematica è stata scoperta o inventata?
Secondo la visione platonica, che faccio mia, le idee già esistono, vanno solo scovate. Una visione che va estesa a tutte le scienze. Il problema è indossare gli occhiali adatti.
La si può definire come la regina delle scienze, o, piuttosto, come un imprescindibile paradigma di conoscenza a vantaggio di tutte le discipline scientifiche, e, probabilmente, non solo di quelle?
La matematica è entrambe le cose, caratterizzandosi come una scienza autonoma, ma, all’occorrenza, anche come una scienza di servizio. Oggi si avverte un’esigenza enorme di conoscenza matematica, per altro alle origini di tante scoperte scientifiche negli ambiti più disparati. Per Marconi, quando si produce conoscenza non bisogna chiedersi mai a quale scopo farlo. In altro senso, secoli prima, Galileo aveva detto che il linguaggio della natura è la matematica.
Come mai i fisici sono stati più protagonisti dei matematici nell’interpretare i dati del COVID?
I fisici hanno un talento che li porta a uno studio più diretto dei fenomeni naturali e si giovano, spesso, di un’immediata forza divulgativa, che la matematica non possiede. Non credo, tuttavia, che in questo caso i matematici siano stati ‘scavalcati’. E comunque, non ci può essere buona fisica senza una robusta base matematica.
La matematica, a certi livelli e in certi ambiti, diventa filosofia?
I fondamenti e le basi logiche della matematica impattano direttamente nell’ambito della filosofia. Mi fermerei a questo livello.
I sommi matematici nella storia occidentale secondo lei?
I grandi dell’Ottocento, come Georg Cantor e Bernhard Riemann.
E Pitagora, Euclide?
Euclide è stato un pilastro plurisecolare della geometria, un gigante che ha costruito un modello ipotetico deduttivo imprescindibile. Pitagora, tra le tante scoperte attribuitegli, ha posto le basi per mettere in crisi l’idea che tutti i numeri fossero frazioni. Con conseguenze straordinarie per l’umanità.
Quanta matematica c’è stata nel suo percorso di crescita spirituale?
La matematica per me è stato un incontro fondamentale. Mi ha aiutato moltissimo a ‘gestire’ il conflitto che ha attraversato la mia vita tra la costante ricerca della razionalità e la constatazione dell’irrazionalità di buona parte dell’umano.
Dove si può trovare il ‘bello’ nella sua disciplina?
Il bello non si misura. La bellezza in matematica esiste, ma a un livello assolutamente personale. Come quella di un quadro, di un incontro. A pensarci bene, spesso è impossibile definire la bellezza, eppure Einstein diceva che quando una teoria diventa bella vuol dire che ci si sta avvicinando alla soluzione del problema affrontato.
Da qualche anno il Trombetti umanista sta emergendo prepotentemente nello scenario culturale, non solo campano. Come è nata questa voglia di narrare?
In realtà ho sempre scritto tanto. In un certo momento della vita ho semplicemente cominciato a pubblicare. Tutto parte dal desiderio di comunicare. Per me, infatti, scrivere è uno dei modi possibili per comunicare con gli altri.
L’opera letteraria più matematica nella storia?
Secondo me, la Divina Commedia, densa com’è di suggestioni matematiche, al di là dei suoi aspetti puramente numerologici. Finanche rispetto al concetto dell’ineffabilità del divino, con la metafora della quadratura del cerchio, Dante si rivolge alla matematica. Più in generale, possiamo dire che l’intera architettura della Divina Commedia è matematica. Bisogna tuttavia precisare che la matematica è diffusa molto più di quanto si pensi in letteratura. Basti pensare a Borges, Calvino, Buzzati.
Il suo libro non scientifico di maggiore successo?
Quello al quale sono più affezionato è il primo (‘Quando meno te lo aspetti’), che ripercorre la vita di cinque ragazzi, presi alle scuole elementari e seguiti fino all’età adulta.
Nella sua vita grande spazio ha avuto anche la politica. E’ stato più difficile fare il presidente della CRUI o il vicepresidente della Regione?
Sono due cose completamente diverse. In ogni caso considero quella della politica un’esperienza limitata nel tempo e auto-contenuta. Mi sono confrontato con iniziative di ampio spettro e ho molto allargato le mie conoscenze, anche in ambito umano. Sono contento dell’esperienza, vissuta comunque da tecnico, ma non la ripeterei. Nella vita c'’è un tempo per tutte le cose.
E il Trombetti privato quali svaghi si concede?
Le mie grandi passioni sono la letteratura, e il cinema, consumati entrambi in maniera compulsiva e disorganica. Amo sempre il racconto e la commedia umana. Per questo adoro Balzac, Maupassant o i grandi scrittori russi. Quanto al cinema, per la stessa ragione, spazio da John Ford a Franck Capra, fino a Martin Scorsese e Woody Allen. Senza dimenticare i grandi italiani, come De Sica, Rossellini e Fellini, fino a Francesco Rosi e a Nanni Moretti, di cui mi considero un fan della prima ora.
I suoi luoghi del cuore?
Ovviamente Napoli, di cui riconosco le tante criticità, ma che non cambierei per nessuna città al mondo. E poi Procida, perché è un luogo dove la dimensione umana è sempre destinata a prevalere.
Passioni enogastronomiche?
Molti cavalli di battaglia della tradizione partenopea, a partire dalla pasta, nelle svariate ricette che Napoli offre, e dalla straordinaria pizza. Non mi appassionano, invece, le alchimie di tanti maestri della cucina. Allo stesso modo, apprezzo molto i vini campani. Su tutti, quelli di Quintodecimo, del professore Luigi Moio, da me stimatissimo.
Un suo ricordo di Biogem?
Lo lego indissolubilmente a quello del suo fondatore e attuale presidente, Ortensio Zecchino. A mio parere, il migliore ministro dell’Università e della Ricerca.
Ettore Zecchino