I protagonisti delle due culture

    Laura Palazzani

    Laura Palazzani

    Ordinario di Filosofia del Diritto all’Università ‘Lumsa’ di Roma, Laura Palazzani è Vicepresidente vicario del Comitato Nazionale per la Bioetica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ed è Membro dell’European Group of Ethics in Science and New Technologies, presso la Commissione Europea (2011-2021). Rappresentante della delegazione italiana nel Comitato di Bioetica DH-BIO del Consiglio d’Europa, dal 2016 è anche Membro del Comitato internazionale di Bioetica dell’Unesco.

    In più occasioni protagonista delle ‘Due Culture’, Laura Palazzani ha partecipato anche all’edizione 2021, animando un interessante dibattito, sul tema ‘Scienza e Libertà’, con il professore Gilberto Corbellini, moderati dal dottore Michele Farisco.

     

    Gentile professoressa, da ‘Signora della bioetica italiana’, come tranquillamente può essere definita, ci racconta quando ha incontrato la disciplina della sua vita?

    Oltre trenta anni fa, nel 1990, quando, dopo la laurea in filosofia presso l’’Università Cattolica del Sacro Cuore’ di Milano, ottenni un Dottorato di Ricerca in Bioetica presso la facoltà di medicina della stessa Università, ma nella sua sede romana. Il secondo passaggio importante è stato la nomina nel Comitato Nazionale di Bioetica, organismo di consultazione del Parlamento e del Governo, nel 2002.  Di lì a non molto è partito anche il mio impegno internazionale, presso l’Unesco e l’Unione Europea.  In quegli anni l’accelerazione del progresso scientifico e tecnologico rendeva sempre più urgente l’elaborazione di risposte da parte dell’etica e del diritto, nel confronto con le altre discipline.
    Quanto ha contato la sua formazione filosofica?

    Moltissimo. Penso infatti che nell’ambito della bioetica sia importante partire dalla medicina e, più in generale, dall’aspetto scientifico e tecnico, ma ritengo fondamentale l’analisi etica. Quest’ultima non può che provenire dalla filosofia, che dispone di due elementi fondamentali dal punto di vista del metodo, sintetizzabili nella tendenza al confronto dialettico tra posizioni diverse, e nella costante ricerca di una sintesi possibile. Solo la filosofia è capace di uno sguardo complessivo sul problema, e solo la filosofia riesce a giustificare le ragioni delle posizioni e delle scelte.

    Cosa consiglia a un giovane interessato ad un percorso professionale nel suo ramo?

    Il Dottorato di ricerca è una buona strada per approfondire il tema sul piano accademico, ma suggerisco anche di frequentare dei master di specializzazione nel campo della bioetica, abbinandoli ad esperienze di stage presso istituzioni o comitati di etica ospedaliera. Oggi l’esperto di questa materia, come ha sottolineato il Comitato Nazionale per la Bioetica, necessita di requisiti ben precisi, quali pubblicazioni, training e formazione specialistica.

    E andando indietro?

    Un corso di laurea in filosofia, con focus nell’ambito della filosofia morale, ma anche nell’ambito giuridico. Alla Lumsa, ad esempio, abbiamo un insegnamento di biogiuridica, che approfondisce il rapporto tra bioetica e biodiritto. Anche una formazione medica, in modo particolare nel contesto della storia della medicina e della medicina legale.

    Facendo un ulteriore passo indietro, ci fa una brevissima storia della bioetica?

    Il termine bioetica nasce nel 1971, con l’oncologo americano Van Rensselaer Potter, nel volume ‘Bioethics: Bridges to the Future’. Negli anni Settanta e Ottanta iniziano ad essere pubblicati articoli e volumi scientifici, e anche Enciclopedie sui temi della bioetica. Dagli anni ‘90 iniziano ad essere istituiti, presso i vari Governi del mondo, altrettanti Comitati Nazionali di Bioetica, nati per discutere i temi da parte di esperti e per orientare la legislazione nell’ambito dei problemi etici, emergenti dallo sviluppo delle tecnologie. Parallelamente, cominciano ad essere istituiti Comitati Bioetici negli ospedali, per la valutazione etica delle ricerche e della pratica clinica. La bioetica si è occupata anche della vita non umana, con riferimento, in particolare, agli animali e all’ambiente.

    Perché una disciplina così importante è nata così tardi?

    La sua nascita è direttamente legata all’intensificarsi del progresso delle scienze e delle tecnica, ma, per certi aspetti, la bioetica coincide anche con l’etica medica, che già era ben presente nel ‘giuramento’ di Ippocrate. Altra tappa importante è stata il processo di Norimberga (1946), dove, venute alla luce le atroci sperimentazioni dei medici nazisti, vi fu una drammatica presa di coscienza della necessità assoluta ed irrinunciabile del consenso informato.
    Lo sganciamento delle due bombe atomiche statunitensi in Giappone non aveva suscitato altrettanti interrogativi etici?

    Si, certamente, ma non specificamente nell’ambito della medicina. Gli sviluppi attuali della bioetica stanno invece andando anche oltre la medicina. Il contributo della bioetica è sempre più richiesto, ad esempio, nell’ambito delle scienze umane e sociali, come nel mondo dell’informatica e della robotica.

    I temi principali della bioetica oggi?

    Oltre a quelli, ormai classici, di inizio e fine vita (sperimentazione su embrioni, procreazione assistita, genetica, accanimento terapeutico, eutanasia, suicidio assistito), segnalerei anche i temi scaturenti dal rapporto medico-paziente, nell’ambito della sperimentazione e  della cura.  Fino ad abbracciare la bioetica animale-ambientale e quella delle tecnologie  emergenti (neuroscienze, intelligenza artificiale e robotica). Questi ultimi temi, senza dubbio, sono destinati a una posizione centrale negli scenari del nostro presente e futuro prossimo.

    Quali rapporti vede intercorrere tra bioetica e biodiritto?

    Oggi la bioetica è inevitabilmente anche biodiritto, perché abbiamo un bisogno urgente di regole che disciplinino i comportamenti collettivi nella società. Non solo a livello nazionale, ma anche in ambito internazionale.

    Quali specifici approfondimenti dottrinari ha suscitato la pandemia?

    Tra i tanti, citerei: la questione della distribuzione delle risorse scarse; il rapporto tra libertà individuale e responsabilità sociale; le questioni connesse ai vaccini (costo, distribuzione, obbligo); la ricerca di farmaci per le cure; la comunicazione pubblica.

    E quali soluzioni sono state adottate?

    In ogni Paese è stato intenso il dialogo tra scienza, etica e politica. Un po’ ovunque la scienza ha offerto gli elementi di base che necessitavano di ragionamenti etici per orientare le decisioni politiche a livello nazionale e internazionale.

    La sua posizione sul ddl Zan è stata di sostanziale perplessità. Ce la dettaglia?

    Innanzitutto, ero perplessa per l’inserimento, nella proposta di legge, del riferimento all’identità di genere e all’orientamento sessuale, che risulta ambigua. Ritengo, inoltre, che la violenza e l’odio debbano sempre essere puniti allo stesso modo, a chiunque si rivolgano.

    E cosa pensa del ddl sul fine vita, attualmente in discussione in Parlamento?

    Lo vedo come il risultato di uno sforzo di mediazione politica tra i sostenitori della disponibilità della vita umana e i loro avversari, ma rischia di scontentare entrambi. Chi rivendica il diritto di morire vuole infatti legalizzare anche l’eutanasia, e chi difende il diritto di essere curati e di vivere non si accontenta dei paletti inseriti per limitare il suicidio assistito (tra questi, il riferimento alle condizioni cliniche del malato, identificate nella irreversibilità della malattia, nella prognosi infausta, nelle sofferenze fisiche e psichiche;  l’obiezione di coscienza del medico; la valutazione di un comitato etico).

    E sul fenomeno delle madri surrogate?

    Sono contraria alla maternità surrogata, o più propriamente alla gestazione surrogata. Un fenomeno che strumentalizza il corpo della donna e mercifica l’embrione. La stessa gestazione solidale, in verità, nasconde forme di commercio che ‘oggettificano’ il corpo della donna gestante e l’embrione.

    La sua esperienza professionale l’ha portata ad avere intensi e profondi contatti con altri sistemi Paese. Dove la bioetica le sembra in maggiore e dove in minore salute?

    La bioetica c’è ovunque, ma predominano correnti diverse di pensiero. Certamente vi è una forte attenzione bioetica in Europa, radicata nei valori della dignità umana e del bene comune, e maggiori aperture liberali e utilitaristiche nell’ambito anglo-americano. Nei Paesi cosiddetti a medio e basso reddito spesso i problemi bioetici sono diversi ed esiste una minore consapevolezza.

    Si può affermare che la bioetica è oggi fonte di legittime differenziazioni politiche e partitiche, o, come altri pensano, il suo campo d’azione deve essere confinato alla coscienza individuale?

    Penso che debba essere lasciato alla coscienza individuale e penso che il ruolo della politica sia quello di cercare faticosamente condivisioni e convergenze, piuttosto che accentuare divergenze e differenziazioni.

    Il suo parere sul rapporto tra bioetica e religioni?

    Credo sia necessario un confronto tra tutte le religioni del mondo sui temi della bioetica, ma è altrettanto necessario un dibattito etico che, pur tenendo conto delle religioni, sia in grado di impostare un dialogo ‘laico’ in una società secolarizzata.

    La religione cattolica, in particolare, ha dato un contributo alla disciplina?

    Certamente si.

    E quale?

    Ha sempre partecipato al dibattito, elaborando una sua dottrina nei documenti magisteriali e partecipando alla discussione pubblica.

    La bioetica è riuscita ad incidere profondamente sulle principali decisioni politiche mondiali degli ultimi decenni?

    La bioetica globale è oggetto di riflessione del Comitato Internazionale di Bioetica dell’Unesco, che elabora pareri rivolti ai Governi del mondo. Difficile valutarne l’impatto politico complessivo, ma certamente, con la pandemia, il dibattito bioetico globale è diventato più intenso. Ne è prova l’azione concordata tra i Governi per la distribuzione dei vaccini nei Paesi poveri.

    Esiste anche una ‘bioetica dell’arte’?

    L’arte può dare un notevole contributo alla bioetica. Ad esempio, il cinema, le raffigurazioni artistiche e la produzione letteraria,  musicale e teatrale possono aiutare a prendere coscienza dei problemi etici con modalità diverse rispetto al metodo dialettico-argomentativo.

    La bioetica conta anche a tavola?

    Sicuramente si, perché anche il modo in cui ci alimentiamo è parte integrante del nostro stile di vita, essenziale per la nostra salute e per la prevenzione delle malattie.

    Ci suggerisce un’opera letteraria e cinematografica a tema?

    Solo a titolo di esempio, mi vengono in mente il film ‘Gattaca. La porta dell’Universo’, di Andrew Niccol, che tratta il tema della selezione eugenetica, e, nell’ambito letterario, ‘Il mondo nuovo’ di Aldous Huxley, che delinea scenari tecnologici di una società futura.

    Si può parlare di una bioetica al maschile e di una al femminile?

    Certamente si. Sia sul piano della elaborazione teorica (si pensi alla cosiddetta ‘care ethics’), sia su quello dei problemi concreti. Il tema della salute delle donne, ad esempio, è centrale sia per la sperimentazione dei farmaci, sia nella pratica clinica, per le specificità e le differenze che vanno tenute in considerazione anche sul piano della bioetica.

    Biogem ha sempre posto molta attenzione ai temi bioetici, come testimonia anche la presenza di una specifica area di ricerca denominata ‘Filosofia ed etica della scienza’. Quali realtà lavorative dovrebbero fare lo stesso?
    In generale, tutte quelle di ambito medico, ma anche il settore della ricerca scientifica, laddove le tecnologie hanno un impatto sulla vita umana e non umana.

    Di quale salute gode oggi la bioetica?
    Direi che è al centro dell’attenzione non solo degli esperti del settore, ma sempre di più anche dell’opinione pubblica, ormai coinvolta nel dibattito sociale sia a livello nazionale sia internazionale.

     

    Ettore Zecchino


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