I protagonisti delle due culture

    Elda Morlicchio

    Elda Morlicchio


    Rettrice dell’Università di Napoli ‘L’Orientale’ dal 2014 al 2020, già prorettrice dello stesso ateneo dal 2008 al 2014, la professoressa Elda Morlicchio è docente di Lingua e Linguistica Tedesca ed è tra i nomi più autorevoli della germanistica in Italia. Insignita del Cavalierato dell’Ordine al Merito tedesco, membro di autorevoli istituzioni culturali italo-tedesche, in passato (2013-2016) è stata presidente dell’Associazione Italiana di Germanistica. È autrice di una ottantina di saggi e curatrice della sezione dedicata ai germanismi del LEI (Lessico Etimologico Italiano). Tra le sue monografie di maggior successo: ‘La filologia germanica e le lingue moderne’; ‘Antroponimia longobarda a Salerno nel IX secolo’; ‘Introduzione allo studio della lingua tedesca’.

     

    Nata a Pompei, tra rovine ed inscrizioni romane, cresciuta a Torre Annunziata e a Scafati, ma proiettata verso studi di linguistica germanica. Ci spiega questa interessante parabola professionale ed umana?

    In effetti, la vicinanza agli scavi di Pompei e di Oplonti mi stava orientando verso l’archeologia, ma l’attività imprenditoriale di mio padre, proprietario di un’azienda conserviera, ha determinato una sterzata. Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ‘70, la Germania era il primo Paese importatore di pomodori pelati e così ebbi l’occasione di conoscere e frequentare diversi partner commerciali tedeschi di mio padre. Di qui la mia curiosità per la loro lingua, acuita da suggestive puntate turistiche familiari proprio in Germania. L’amore, secondo una celebre espressione tedesca, ‘passa attraverso lo stomaco’ e il mio caso lo conferma in senso ‘letterale’, perché mi sono avvicinata al tedesco attraverso un prodotto alimentare.
    Scherzi a parte, dopo il pomodoro è subentrata la decisiva influenza esercitata su di me, ormai universitaria, dal grande maestro Luciano Zagari, un germanista tra i più brillanti della sua generazione. L’amore per il passato è però riemerso presto. I miei studi e i miei insegnamenti sono infatti da sempre incentrati sul tedesco medioevale e sulle popolazioni germaniche antiche.

    Prima rettrice universitaria italiana a succedere ad un’altra donna, sente di essere ‘entrata nella storia’, almeno della statistica?

    Si tratta, in fondo, di un piccolo e casuale dato di fatto. Registro, piuttosto, con soddisfazione una crescita lenta ma costante del numero delle rettrici. Nel 2014 eravamo solo in sei, ma, evidentemente, questo piccolo manipolo ha ‘’aperto una breccia’’. Oggi una donna dirige il più grande ateneo italiano (‘La Sapienza’ di Roma)!

     

    Rettore o rettrice?

    Prima del 2014 vigeva il maschile, ma noi decidemmo di sottolineare, anche attraverso la lingua, la normalità di una nomina del genere. All’epoca, la scelta fece scalpore, ma avemmo il conforto dell’Accademia della Crusca. A distanza di dieci anni, tutte le donne al timone di un’università vengono chiamate rettrici.

    Parità di genere a parte, quali i ricordi più vividi di un’esperienza così intensa?
    Come rettrice de ‘L’Orientale’ ho avuto la fortuna di intercettare tematiche complesse e, spesso, per me nuove, sorte da un dialogo costante con tutte le aree del mondo. I miei orizzonti si sono così notevolmente ‘allargati’.

     

    Cosa si intende per lingue germaniche?

    In italiano, l’aggettivo germanico ha un significato ambiguo, poiché viene riferito tanto alla cultura tedesca quanto alle antiche popolazioni stanziate a nord delle Alpi, che i Romani, pensiamo ad esempio a Tacito, chiamavano appunto Germani. In linguistica l’aggettivo designa una lingua ricostruita, dalla quale derivano tutte le lingue documentate, da quelle ormai estinte, come gotico e longobardo, a quelle tuttora parlate: il tedesco, le lingue nordiche, il nederlandese, e l’inglese, quest’ultimo con una notevole presenza di elementi romanzi entrati in passato tramite il francese.

    Il tedesco è percepito da molti come una lingua particolarmente ‘dura’, o, comunque, poco musicale. Eppure, è la lingua dei grandi Lieder di Schubert e delle sublimi aree wagneriane!

    Lo ricordo sempre anche io. Forse il pregiudizio deriva, almeno in parte, dall’accostamento, tuttora frequente, del tedesco alle vicende belliche, soprattutto del periodo nazista. Bisogna, tuttavia, considerare anche che la frequenza con cui in tedesco ricorrono le vocali è inferiore rispetto all’italiano e questo potrebbe contribuire a dare l’idea di una lingua con troppe consonanti e quindi meno ‘musicale’.

     

    Ci rivela la sua opera letteraria preferita in lingua tedesca?

    Il ‘Faust’ di Goethe, per la sua straordinaria complessità sotto il profilo letterario e filosofico, ma anche perché è la prima che ho affrontato all’università, da giovane studentessa. Aggiungerei alcuni romanzi di Thomas Mann, per le descrizioni di atmosfere e personaggi.

     

    E leggerli in italiano fa lo stesso effetto?
    Grazie alla grande scuola dei traduttori dal tedesco che può vantare il nostro Paese, i testi in traduzione consentono di apprezzare gli originali. Dal punto di vista strettamente lessicale, tuttavia, la versione italiana non consente di cogliere la bellezza della capacità di ‘formare parole’ che è propria della lingua tedesca.

    Dal 700 in poi il tedesco ha ‘dominato’ in ambiti umanistici, come la filosofia, ma ha imperversato anche nelle scienze naturali. Oggi, questo ‘primato’ resiste in qualche ambito?
    Il tedesco è ancora la lingua della filosofia e, in misura minore, degli studi classici e del diritto, ma in tutti gli altri campi la lingua della comunicazione in contesto accademico è inesorabilmente l’inglese.

    Il francese è considerato la lingua dell’eleganza, soprattutto salottiera. In quale contesto il tedesco può risultare attrattivo oggi?

    Direi proprio in quel mondo della musica, di cui parlavamo. Penso, soprattutto, alla grande tradizione lirica.

     

    In percentuale, quanto c’è di comune tra lingue romanze e lingue germaniche?

    Sono lingue indoeuropee e quindi hanno una base comune, ma hanno iniziato molto presto a divergere, per la fonetica, la morfologia e la sintassi. In generale possiamo dire che le lingue germaniche tendono ad essere sintetiche, mentre quelle romanze sono piuttosto analitiche.

     

    Parlare perfettamente un’altra lingua non limita mai il percorso di conoscenza della propria?

    Piuttosto la arricchisce. L’apprendimento di un’altra lingua costringe, infatti, ad un continuo approfondimento della propria. Capita spesso che studenti di lingue straniere prendano coscienza di alcune strutture e caratteristiche della loro lingua madre proprio dal confronto con un’altra lingua.

     

    Oggi è più facile integrare in patria la conoscenza di una lingua precedentemente appresa all’estero. In ambito universitario si rischia di ridimensionare la presenza dei mediatori linguistici in carne ed ossa?
    Quando ho cominciato a studiare il tedesco, agli inizi degli anni ‘70, la figura del docente madrelingua era fondamentale, ma rimane tuttora importante e infatti ‘L’Orientale’ investe molto sui collaboratori ed esperti linguistici. Una lingua è fatta anche di gestualità, di mimica e di mille variazioni dipendenti dal contesto, elementi che non si ritrovano in un supporto informatico o multimediale.

     

    L’Università ‘L’Orientale’ di Napoli deve la sua fama ai pioneristici studi di sinologia. Attualmente, il prestigio in questo campo è intatto?

    Senza dubbio. Ancora oggi frequentano studenti provenienti da altre regioni perché attratti da questa nostra specifica eccellenza.

     

    La globalizzazione e i vari processi della contemporaneità stanno uccidendo, anno dopo anno, moltissimi idiomi regionali. Secondo alcuni, il fenomeno costituisce la maggiore perdita culturale nell’era dell’Intelligenza Artificiale. La pensa allo stesso modo?
    Credo che per ogni lingua che muore scompaia un pezzo significativo del patrimonio culturale dell’umanità. Certamente l’uso dell’inglese, anche laddove non sarebbe necessario, rischia di portare all’impoverimento progressivo delle altre lingue.

     

    Eppure, quello della Torre di Babele nasce come mito ‘negativo’, come atto di punizione divina!

    Effettivamente si tratta di una punizione che condanna i popoli alla reciproca incomprensione. Miti a parte, una lingua unica sarebbe inevitabilmente molto povera. Basti pensare al naufragio dell’esperanto, consegnato quasi subito al mondo delle utopie. Non dimentichiamo che dietro una lingua c’è una comunità di parlanti, con la sua storia e cultura. È interessante ricordare che i britannici temono che il cosiddetto ‘inglese globale’ possa danneggiare la loro lingua madre. Nelle condizioni attuali, utilizzare una lingua universale comporterebbe, a tacer d’altro, la difficoltà di esprimere l’ironia e molte altre sottigliezze della comunicazione.

     

    La struttura di una lingua rispecchia le caratteristiche ‘antropologiche’ del popolo che la utilizza?

    No. Si tratta di un mito privo di fondamento.

    Il palese senso di colpa per l’enormità dell’Olocausto indirizza ancora oggi il percorso di formazione culturale standard del tedesco medio o le ultime generazioni si sentono affrancate da questo fardello?
    Ancora oggi, in Germania, si riflette molto sugli errori commessi negli anni bui e la rimozione del passato, per fortuna, è un fenomeno che non esiste. Le nuove generazioni hanno tuttavia il vantaggio di essere nate in un mondo in cui le colpe risalgono nel tempo oltre i loro nonni. In questo senso, quindi, soffrono meno.

     

    La Germania è ingiustamente ‘snobbata’ da un punto di vista turistico. Ci rivela i suoi itinerari del cuore?

    Il nord del Paese, con i suoi paesaggi ventosi e la città di Amburgo. E poi Berlino, paragonabile oggi, per vivacità e dinamismo, alla Londra degli anni ‘60. Infine, la Valle del Reno e la Baviera, in primo luogo Monaco.

     

    Chiudendo in leggerezza, cosa ci può dire della cucina tedesca?
    Posso dire che, come la nostra, presenta una grande varietà regionale. Certamente le patate rappresentano un cibo base nella loro cucina, ma vengono preparate in tanti modi diversi, come del resto i salumi, che gli italiani impropriamente identificano con un solo tipo, il würstel. Nel nord c’è un’apprezzabile cucina di mare, con pesci diversi, ma non meno gustosi, di quelli del nostro Mediterraneo. Mi sento infine di dire che il pane, in tutte le sue numerosissime versioni, è un’autentica eccellenza.

     

    Ettore Zecchino


    Biogem S.c.a r.l. P.Iva 02071230649
    Via Camporeale Area P.I.P. Ariano Irpino (AV) Italy
    Tel. +39 0825 881811 - Fax +39 0825 881812 - biogem@biogem.it

    © 2024 Biogem scarl. All Rights Reserved.