Direttrice dell’area di ricerca Geni e Ambiente dal 2011, e dell’area del servizio dedicata alla Generazione di Modelli Geneticamente Modificati dal 2018, Concetta Ambrosino, attualmente docente presso l’Università del Sannio, è presente a Biogem dal lontano 2007, e ne è, quindi, una ‘giovane memoria vivente’. Si deve anche a lei la scelta di un nuovo filone di ricerca, all’insegna della verifica ‘sul campo’, abbracciato dall’istituto scientifico irpino, in materia di inquinanti ambientali e loro effetti sull’uomo. Un nuovo corso, molto apprezzato dalla comunità scientifica, e dalle istituzioni del territorio.
Professoressa, ci parli un po’ del suo lungo percorso a Biogem
Nei primi anni 2000, quando ero borsista post-dottorato all’European Molecular Biology Laboratory (EMBL) di Heidelberg, in Germania, con il professore Angel Nebreda, fui contattata dall’allora direttore scientifico di Biogem, Roberto Di Lauro. Non se ne fece niente, fino a quando non tornai dalla Germania. A quel punto, comprai una nuova automobile, e decisi di accettare. Era il 2007, e il mio rapporto con Biogem divenne così intenso che dal 2008 al 2010 mi trasferii ad Ariano Irpino. Pazienza, permanenza e presenza sono sempre state la mia bussola per ‘vivere’ l’istituto. Devo forse a queste tre p una permanenza così lunga e fruttuosa. Ho poi avuto la fortuna di conoscere a fondo il professore Mario De Felice, per me non semplicemente un direttore scientifico, ma un vero e proprio mentore, pur in una fase già adulta della mia vita professionale. Gli approfonditi e continui confronti culturali con lui hanno in parte orientato il mio successivo itinerario scientifico. Dagli ormoni e dalle vie di trasduzione del segnale sono quindi passata ad occuparmi di geni e ambiente, valorizzando e unificando le esperienze pregresse, in un approccio decisamente, e forse, all’epoca, pioneristicamente, traslazionale.
Come nasce il laboratorio di Geni e Ambiente?
Nel 2011, grazie anche agli spunti forniti dalla dottoressa Antonella Olivieri, dell’Istituto Superiore di Sanità, prese corpo l’idea di occuparci delle alterazioni dell’attività cellulare determinate da fattori ambientali, con riferimento, soprattutto, all’inquinamento. Siamo partiti dagli effetti sulla tiroide, poi abbiamo focalizzato i nostri studi su patologie dall’incidenza sempre crescente, come il diabete e l’obesità, anche infantile, due vere e proprie epidemie mondiali. Abbiamo quindi pubblicato lavori con risultati di un qualche impatto, dimostrando, ad esempio, che il bisfenolo A, sino ad allora molto usato anche per i neonati, può distruggere le cellule che producono l’insulina, favorendo l’insorgere del diabete, soprattutto giovanile. Anche altri sono i risultati dei quali poter dar conto, ma quello più significativo è stato il riconoscimento unanime di un ruolo da battistrada per la ‘biologia dei sistemi’ in Campania.
Da chi è composta la sua squadra?
Storicamente, dagli studenti del corso di Laurea Magistrale in cui Biogem è coinvolta, quali Luisa Severino Ulloa, ora post-doc al Saint Michel Hospital a Toronto, dagli studenti del dottorato di Biogem, quali Danila Cuomo, ora post-doc alla Texas A&M University, e da studenti post-dottorato, quali Immacolata Porreca, che ha contribuito a portare in Biogem lo zebrafish, un modello animale di grande interesse per la ricerca pre-clinica, e che ora è ricercatrice presso Horizon Discovery. I compagni di viaggio attuali sono Valeria Nittoli, post-doc di Biogem, e Francesco Albano e Marco Colella, rispettivamente post-doc e dottorando del mio gruppo di ricerca dell’Università del Sannio. La pandemia ci ha purtroppo privato del sostegno degli studenti della Laurea Magistrale, ma abbiamo già numerose richieste che speriamo di soddisfare presto. Ciascuno di loro ha dato il proprio contributo allo svolgimento degli studi di cui sopra, a cui ha fortemente contribuito anche la squadra dell’area di Servizio, composta da Carla Reale, Luca Roberto, Nico Russo, Filomena Russo ed Alfonsina Porciello.
Quale ruolo ha avuto la struttura di Biogem in questi studi?
Biogem è quel concentrato di competenze e servizi, la cui disponibilità è stata fondamentale nel decidere di accettare la sfida di applicare approcci tecnologici innovativi allo studio degli effetti di contaminanti ambientali. Una scelta guidata dal fine di evidenziare l’intero spettro delle patologie connesse alla loro presenza nell’ambiente. Inizialmente, il contributo maggiore lo abbiamo ricevuto dal laboratorio di Bioinformatica, grazie alla competenza del professore Michele Ceccarelli. Quando siamo passati dalle analisi in vitro a quelle su animali, determinante è stato lo stabulario, sia per i roditori sia per i pesci. Grazie al ricorso ad entrambi i modelli abbiamo infatti avuto la possibilità di valutare su due specie diverse l’eventuale ‘coerenza’ di effetti osservati, il che rende plausibile la trasferibilità all’uomo di quanto rilevato. Non è difficile comprendere il valore aggiunto regalato da un istituto come Biogem a una struttura di ricerca come la nostra. Sicuramente ci ha aiutato ad avere un approccio traslazionale.
Può farci conoscere i progetti già realizzati dal suo team di ricerca, quelli in corso, e i programmi futuri?
Nel tempo abbiamo un po’ cambiato direzione. Pur confermando il nostro forte interesse per l’impatto dell’ambiente sui geni, ci stiamo, infatti, concentrando sulle conseguenze legate all’esposizione precoce. Le alterazioni dell’ambiente di vita prenatale sono causa di patologie dell’adulto, che hanno una grande diffusione ed un grosso impatto sociale, quali le malattie endocrino-metaboliche (diabete, obesità e infertilità) e le neoplasie maligne. Ce ne siamo occupati, sviluppando un modello innovativo di esposizione, che parta dal concepimento, e perduri in ogni fase della vita. Abbiamo così dimostrato, solo per fare un esempio, che l’esposizione continuativa a semplici pesticidi autorizzati, o il cui uso è stato proibito in Europa nel 2020, può dare origine a steatosi epatica in zebrafish. Nel modello murino, i maschi, non protetti dagli ormoni steroidei, sviluppano obesità, insulino-resistenza, steatosi epatica, e, in alcuni animali, adenocarcinomi. A Biogem abbiamo quindi messo a punto un modello murino, capace di riprodurre la steatosi epatica umana in tutte le sue fasi. Sempre sul modello murino, abbiamo rinvenuto, in particolare, conseguenze sulla fertilità femminile, dovute a un invecchiamento ovarico precoce.
E le collaborazioni esterne?
Proprio la parte relativa all’infertilità ci ha portato a collaborare con il professore David Treadgill, della Texas A&M University, e con il professore Cristoforo De Stefano dell’AORN Moscati di Avellino. Gli studi sulla salute endocrino–metabolica ci vedono lavorare da tempo con il CNR-IEOS di Napoli e con il professore Perry Blackshear al National Institute of Environmental Health Science. Gli studi sullo sviluppo di malattie neuronali ci hanno invece portato a una collaborazione con il dottore Filippo Del Bene, presso l’Institut de la Vision di Parigi.
La pandemia può essere nata a causa dell’inquinamento crescente, soprattutto in alcune aree del pianeta?
Penso proprio di no. Un ambiente alterato può invece essere responsabile della gravità degli effetti collaterali del morbo.
Ipotizza un ruolo della sua squadra nell’ambito di questa ‘guerra’ al Covid19?
Per quanto riguarda la ricerca, stiamo studiando il ruolo che la famigerata proteina spike ha nell’indurre uno stato infiammatorio a livello cerebrale. Sono questi, in particolare, gli studi che la dottoressa Nittoli conduce, utilizzando lo zebrafish. Valeria e gli altri membri del servizio hanno dato un grande contribuito all’attività di Biogem, nell’ambito della refertazione dei tamponi, almeno fino a dicembre 2020. Il loro impegno in questo campo attualmente si è un po’ ridotto.
Secondo Edoardo Boncinelli, intervistato da Biogem in questi giorni, la ‘salute’ umana dipende per un terzo dalla genetica, per un terzo dall’ambiente, e per un terzo dal caso. Condivide?
Assolutamente si. E credo che solo il professore Boncinelli poteva essere così brillante nel dirlo.
Ha dei suggerimenti per il futuro di Biogem?
Penso si sia già aperto un nuovo corso. La direzione scientifica del professore Capasso è riuscita a imprimere una svolta, in senso sempre più traslazionale, dando a tutti noi l’input per guardare oltre i modelli , e per arrivare al ‘letto del paziente’.
Ettore Zecchino