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    Are you going to al-Quds? Intrigo in Terra Santa

    Are you going to al-Quds? Intrigo in Terra Santa

    Ha la statura, la corporatura e l’età dell’ultimo Ethan Hunt, conosce a fondo i lussi e i piaceri della vita come James Bond, ma ricorda molto da vicino i Sam Spade e i Philip Marlowe della letteratura e della cinematografia hard-boiled, vanto della Hollywood classica. Si chiama irriverentemente Issa (come, secondo un’etimologia controversa, Gesù in ambito musulmano), ed è arabo-israeliano, ma vive grazie alla penna di un italiano, anzi, un campano doc, come l’ambasciatore Cosimo Risi, storico amico di Biogem, sorprendente debuttante in un giallo internazionale.

     ‘Are you going to al-Quds? Intrigo in Terra Santa’ (Europa Edizioni), è forse solo il primo capitolo di una serie crime, destinata ad ampliare il già ricco panorama italiano in materia. O meglio, a completarlo, vista la tendenza dei gialli nostrani più letti a dare il meglio di sé nella talentuosa evocazione glocal di realtà fortemente caratterizzate, come la Sicilia di Montalbano, elegantemente pennellata da Andrea Camilleri, o la Napoli del Commissario Ricciardi, di Maurizio De Giovanni. O ancora, come la fusione tra i due mondi, compresenti nel sicilianissimo bastardo di Pizzofalcone, Giuseppe Lojacono, altra espressione del talento creativo di De Giovanni. E proprio a questi due autori, tra i tanti giallisti affermati di casa nostra, può guardare Cosimo Risi, come Camilleri debuttante in età avanzata, e come De Giovanni, suo buon amico, partenopeo per studi e passioni, sia pure salernitano di nascita.

    Le analogie con questi possibili modelli finiscono qui, vista la natura dichiaratamente cosmopolita ed internazionale del nostro racconto che, sin nel titolo, evidenzia un melting-pot non solo linguistico. Se infatti al-Quds (la Santa) è il nome arabo di Gerusalemme, l’are you going che la precede altro non è che la citazione monca di un brano di Pat Metheny, celebre chitarrista jazz statunitense, ascoltato, in cuffia, nelle prime pagine (potremmo anche dire scene) dal nostro investigatore. Tanto per fare capire subito il ritmo dell’opera, contrassegnata sempre da armonia e contrappunto. Non a caso l’irruzione occasionale di un’inevitabile musica classica assume le tonalità di un ‘jazzistico’ Johann Sebastian Bach, rappresentato dai sublimi ‘Concerti Brandeburghesi’. Un ritmo che è anche quello di molto cinema di genere, al quale il racconto quasi esplicitamente sembra rivolgersi.

    La trama, in verità, ci sembra di importanza secondaria, e, comunque non esente da una certa stereotipizzazione, ma è sovrastata dalla maestria nello scrivere in cui eccelle l’ambasciatore Risi, debitore, con originalità, di dichiarati modelli letterari, da Roger Peyrefitte a John Le Carrè, fino a Raymond Chandler, direttamente omaggiato, con la trasposizione, in apertura, di un suo fulminante testo.

    Eccoci, in ogni caso, catturati sin dalla prima pagina, a seguire le sorti di Issa, rapito sulla litoranea da Tel Aviv a Jaffa, mentre è distratto dal brano di Metheny che ascolta in cuffia, e portato al cospetto di un grande Vecchio, identico a molti altri incontrati in svariati film e telefilm, con tanto di rughe e aria di mistero. Questi è interessato a un’indagine che, finalmente in proprio, dopo una vita al servizio dello Stato, Issa sta conducendo per conto di un’avvenente neo-vedova. La storia è incentrata sulla morte del marito, probabilmente collegata ai celeberrimi Rotoli del Mar Morto. Qui la vicenda sembra prendere una pericolosa piega alla Dan Brown, ma l’autore, puntando sull’introspezione chandleriana del protagonista e sulla sua personale, straordinaria conoscenza del ‘bel mondo’, riesce abilmente a sottrarsi alla noia del già letto e alla pretenziosità di un genere tanto in voga. L’elemento spirituale è volontariamente ignorato, quando non direttamente respinto dal nostro detective che, pur immerso in ambienti che lo evocano espressamente (conventi, moschee, sinagoghe, il solito Vaticano), si corazza dietro la disillusione dell’uomo vissuto. O, per meglio dire, frustrato. Dagli insopprimibili sensi di colpa per un amore finito tragicamente, come dal senso di incompiutezza e di fallimento esistenziale che sembrano zavorrarlo ovunque. Per nostra fortuna, non al punto da evitargli i piaceri della vita, descritti da Risi con l’elegante maestria di chi li usa, ma mai ne abusa, pur con qualche audace concessione a un erotismo in qualche caso spicciolo, in altri, conturbante. Un risvolto classicamente da ‘ghiaccio bollente’ hitchcockiano.

    Le donne, spesso belle, che incontra il protagonista, sono ben lontane dal modello Bond Girl, ma altrettanto da qualsiasi afflato romantico. Che siano la cliente, la giovane bibliotecaria, la commilitona, la vicina di casa, la suora integralista, la diplomatica, la locandiera vedova, come la fascinosa spogliarellista, sono tutte emancipate e disilluse come lui, quasi a giustificare la sua misoginia di fondo, pur non accentuata come in alcuni dei suoi dichiarati modelli. Non può quindi stupire la sensibilità esibita da Issa, nonostante il perenne esercizio fisico e cosmetico ‘anti-aging’, verso i piaceri offerti dalla buona tavola. Per la quale osa non rispondere a una telefonata del dispotico Vecchio, non volendo essere disturbato in un momento cruciale della giornata. E così, quasi ogni snodo principale della vicenda ha a che vedere con un pasto. Dal semplice caffè con un gianduiotto, letteralmente alle origini della sua vita, a un pranzo in un ristorante stellato, situato all’interno di un suggestivo convento nelle Ardenne, con un morto per meditazione post-dessert.

    Il racconto, dicevamo, è cosmopolita: si svolge tra Israele, Francia, Belgio, Italia, Giordania. Si parte da Tel Aviv e Jaffa, per poi trasferirsi a Gerusalemme (la al-Quds del titolo), e da qui partire, anche con l’aiuto di flash-back, in direzione Torino e Parigi, salire fino alle Ardenne e a Bruxelles, arrivare a uno snodo cruciale nella Roma non solo papalina, per poi ritrovarci finalmente nella Giordania dei Rotoli di Qumran. La chiusura è, tuttavia, riservata alla lussuriosa Parigi di Pigalle, nell’enigma di un rapporto che può fare pensare a un’evoluzione amorosa.

    Ognuno dei luoghi raggiunti da Issa diventa l’occasione per mirabili descrizioni di ambienti naturali e artificiali, grazie alle quali l’autore esibisce un talento descrittivo straordinario. Che si tratti di un’opera d’arte o di un panorama, di arredi e oggetti di design, di grandi vini (spesso tra gli emergenti israeliani delle Alture del Golan o tra i classici libanesi) o di cibi di ogni sorta, di conventi o dei suoi abitanti, di ambasciate (chissà se almeno in parte abitate dall’autore), Risi riesce a farci sentire al cinema, tanto vividi sono i colori evocati nelle sue descrizioni e tanto movimentate le scene.

    La fine della vicenda (di un giallo si può fare solo un minimo accenno alla trama) può lasciare un po' di ‘chandleriano’ amaro in bocca, ma, come per alcuni buoni vini, è per predisporci a un altro sorso.

     

    Ettore Zecchino


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