Best seller internazionale di un grande italiano, da poco scomparso, ‘Geni, Popoli e Lingue’ (editore Adelphi), è un libro delle ‘Due Culture’ per eccellenza, programmaticamente orientato a unire indissolubilmente vari rami del sapere, alleati nella ricerca di grandi verità scientifiche. Al tempo stesso, l’opera è una delle più rappresentative di Luigi Luca Cavalli Sforza, genetista per convenzione, enciclopedico per cultura e vocazione. Leggendo questo piccolo grande libro, pubblicato negli ultimi anni del secolo scorso, ma ancora molto attuale, ci si imbatte, infatti, in una ‘summa’ del metodo intellettuale e scientifico dell’autore, ulteriormente arricchito negli anni successivi, nel corso di un’esistenza lunghissima, dedicata fino all’ultimo alla ricerca. Una ricerca che per Cavalli Sforza è sempre stata multi-disciplinare, e che, in questo caso, mette insieme, genetica e statistica, biologia e matematica (quest’ultima mai ‘esibita’). E, con lo stesso grado di rigore, archeologia e paleontologia, storia e demografia, geografia, medicina, e ovviamente linguistica, abbozzando un elenco che può, tuttavia, continuare a lungo, tra collegamenti e rimandi di crescente ampiezza.
Strutturato in una prefazione e in cinque capitoli, il saggio scaturisce da due corsi tenuti al College de France, nel 1981 e nel 1990, e in esso l’autore riversa buona parte delle sue intuizioni e delle sue scoperte nello studio della genetica delle popolazioni, disciplina che tanto deve ai suoi contributi. Obbiettivo dichiarato e raggiunto è quello di mostrarci come geni, popoli e lingue, nel titolo significativamente in maiuscolo, si siano irradiati parallelamente, attraverso una serie di migrazioni che hanno avuto origine in Africa. Al lettore si presenta, quindi, un’avvincente cavalcata lungo centomila anni di storia, alla scoperta di origini comuni, evoluzioni continue, migrazioni, scoperte, evoluzioni culturali, differenze e similitudini, proporzioni matematiche e continue evidenze statistiche. Il tutto in uno stile lineare e comprensibile, non solo, e forse non tanto, per un sempre apprezzabile fine divulgativo, quanto piuttosto per una più efficace fruibilità interdisciplinare. Cavalli Sforza sembra infatti rivolgersi continuamente ai ‘colleghi’ archeologi, storici, linguisti, ai quali offre nuovi stimoli e pone nuove domande, nella consapevolezza della irriducibile unità del sapere. L’evoluzione, per l’autore, non è infatti solo materia di geni, e dal libro, pur rigorosissimo nell’individuare qua e là evidenti meccanicismi, traspare una considerazione altissima per l’incidenza della ‘cultura’, nella sua accezione più ampia, e, quindi più vera, come base per tanti mutamenti e differenze tra popoli, e, prima ancora, tra uomini. Il linguaggio, la maggiore delle ‘invenzioni’ umane, è quindi considerato dall’illustre genovese un frammento straordinariamente importante nel mosaico dell’evoluzione. Un’invenzione, comunque, preordinata geneticamente dalla nostra struttura fisica. Perno dell’evoluzione umana diventa quindi proprio la cultura, peraltro trasmissibile a un numero di soggetti potenzialmente illimitato, e certamente enormemente più ampio di quelli coinvolti in una trasmissione genetica propriamente detta. Senza contare la straordinaria rapidità potenziale del processo. Ecco così delineata una versione dell’evoluzione lontanissima da quella incentrata sul concetto di razza, qui, come in molta parte della sua produzione, demolito da Cavalli Sforza, che, con un approccio mai dogmatico, ne dimostra l’assoluta ineffabilità.
‘Geni, Popoli e Lingue’ è un libro che ha ormai varcato il mezzo secolo di vita, ma che continua ad essere attualissimo, come dimostrano le considerazioni finali sull’andamento demografico e, in fondo sulla sostenibilità ambientale, dove l’autore non esita a sostenere tesi, per lo più ottimistiche, ma non sempre condivise dalla comunità scientifica nel suo complesso. Resta, tra gli altri, il rimpianto di non poter leggere nuovi studi e nuove ricerche di Cavalli Sforza in un’epoca tristemente pandemica, quale è quella che ci è dato di vivere in questi anni. In un momento in cui a trionfare è la paura, risuona comunque una sua celebre massima, secondo la quale ‘’la scienza fa paura agli ignoranti, e quando non fa paura delude: ma anche qui, per ignoranza’’.
Ettore Zecchino