Vera e propria ‘summa’ del pensiero di Antonino Zichichi, 'La bellezza del creato' (Il Cigno GG Edizioni), rappresenta un salto di qualità nell'approccio alla fede del fisico siciliano. Se in alcuni lavori precedenti Zichichi aveva infatti spiegato perché crede in Colui che ha creato il mondo, in quest’opera della sua senescenza prova a mostrare la bellezza di questa creazione e l’ottimismo che dovrebbe infondere negli animi di ognuno. La stessa logica che lo ha condotto a ritenere plausibile l’esistenza di Dio, lo porta, attraverso raffinati percorsi intellettuali, a incoraggiare l’umanità a ‘godere’ di questa certezza. Soggetto attivo di questa vera e propria missione è la scienza, che, come scriveva il citatissimo Giovanni Paolo II, è un dono di Dio e ha il compito di provare a svelare le bellezze del creato. Il professore Zichichi prende molto sul serio questo auspicio papale, tanto da tuffarsi in una bellissima cavalcata divulgativa tra sentieri, battuti e non, della scienza nelle sue varie espressioni, confermando tutta la sua smisurata stima per Galileo Galilei, qui ancora una volta eletto a Sommo con la maiuscola, e, celebrato anche nella sua dimensione di fedele, per Zichichi indiscutibile. Un gigante come Galileo porta, secondo Zichichi, la rivoluzione scientifica al livello di quella del linguaggio, nonostante lo scarto, a vantaggio della seconda, di una sedimentazione storica straordinariamente ampia. Storia nella quale il libro non esita ad entrare, attraverso le fessure aperte dalle tante scoperte scientifiche, ma anche dai tanti appuntamenti mancati, come quelli con la comprensione dei meccanismi del fuoco e della ruota, ignorati dall’umanità per millenni. Nella universale ‘Bellezza del creato’ di Zichichi c’è posto anche per una orgogliosa ‘sicilianità’, indirettamente espressa attraverso il ruolo, assegnato al siracusano Archimede, di vero e proprio Galileo ante-litteram, sciaguratamente non compreso dai suoi contemporanei, e, ancora, lungo 1.800 anni, fino, appunto, al grande pisano. Ecco quindi, che, piano piano, ‘La Bellezza del Creato’ diventa anche un testo autobiografico, capace di descrivere, non senza gratitudine, la bellezza di una vita da grande scienziato, spesso al crocevia di snodi storici di grande importanza, o, almeno testimone indiretto di molti di questi. Dall’ammirazione per il clima di fruttuosa collaborazione e interdisciplinarietà scientifica del ‘Progetto Manhattan’, capace, in pochissimo tempo, di gettare le premesse di progressi tecnologici straordinari, fino agli accenni al risolutivo contributo tecno-bellico anti-nazista del suo maestro Blackett, durante la Seconda Guerra Mondiale. E poi, inevitabilmente, passando attraverso le sue grandi scoperte nella fisica sub-nucleare, orgogliosamente e puntigliosamente ricordate, fino ad arrivare alle grandi avventure dei due grandi centri di ricerca fondati in onore di due ‘maestri’ del calibro di Ettore Maiorana ed Enrico Fermi.
La scienza, per Zichichi, svolge il suo cruciale compito spesso per caso, ed ecco quindi una suggestiva rassegna delle maggiori scoperte in salsa ‘serendipity’ (protagonisti geni di ogni epoca) dall’autore raccolte come ulteriore conferma dell’esistenza di Dio, creatore di ogni cosa, e sempre avanti a noi per intelligenza. E ricorre nel libro lo sforzo di fornire, nel solo ambito dell’immanenza, le prove dell’esistenza di Dio, in un percorso simmetrico a quello, operato nella sfera trascendente, da Tommaso d’Aquino.
‘La Bellezza del Creato’, pur nella sua concisione, è molto altro, e non manca di riprendere alcuni temi forti dello Zichichi controcorrente (dalla meteorologia all’evoluzionismo), ma è essenzialmente un’opera pacificata, conciliante, capace di sorprenderci anche per inaspettati onori delle armi, come quello felicemente concesso all’onestà intellettuale dell’atea Margherita Hack. Di tutto ciò non poteva non risentirne lo stile, piano, semplice, mai compiaciuto, con quella straordinaria forza divulgativa, in grado di dare a tutti l’illusione della comprensione di fenomeni, in realtà inafferrabili dai più. Grazie anche a quelle ripetizioni e a quegli schematismi, che, lungi dall’essere difetti, rappresentano, invece, l’essenza di ogni sapiente opera di divulgazione.
Insomma, un’opera coraggiosa nei suoi assunti di partenza e mai banale, ma pronta a farsi leggere tutta di un pezzo, magari in un caldo pomeriggio di tarda primavera. Per poi meditarla molto più a lungo.
Ettore Zecchino