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L’infezione da SARS-COV-2 potrebbe determinare una regressione del tumore metastatico al colon-retto. Lo ipotizza uno studio dell’Istituto Pascale di Napoli, condotto su tre pazienti affetti da tumore al colon-retto metastatico. La ricerca, svolta durante l’infezione da SARS-CoV-2, è stata pubblicata sulla rivista ‘Therapeutic Advances in Medical Oncology’, da Alessandro Ottaiano, Stefania Scala e Guglielmo Nasti. I tre ricercatori hanno evidenziato, in particolare, una riduzione radiologica della malattia nei tre pazienti affetti da SARS-CoV-2. E’ noto che la proteina virale spike (S) è responsabile dell’ingresso del virus nella cellula ospite, attraverso il legame con ACE-2 (enzima di conversione dell'angiotensina 2). ACE-2 è espressa in diversi tessuti umani, quali polmone, fegato, stomaco, ileo, colon, rene, per cui è stato ipotizzato che il SARS-CoV-2 possa infettare cellule di cancro del colon che esprimono ACE-2 / NRP-1, evocando una risposta immunitaria diretta contro le cellule infette. Il recettore NRP-1 è espresso in diversi tessuti e potrebbe promuovere l'interazione del virus con ACE-2. In particolare, il SARS-CoV-2, infettando le cellule di cancro del colon, indurrebbe un rilascio di citochine, le quali potrebbero consentire l'attrazione delle cellule immunitarie dal microambiente tumorale (TME), spiegandone in tal modo l’effetto antitumorale. Obiettivo della ricerca era analizzare le correlazioni tra la risposta antitumorale e quella indotta dall'infezione da SARS-CoV-2, ma anche capire come essa possa indurre, indirettamente, la regressione tumorale. Ulteriori studi saranno cruciali per chiarire le conseguenze di eventuali replicazioni virali in cellule tumorali che esprimono alti livelli di ACE-2, e nelle sottopopolazioni linfocitarie coinvolte. Tali evidenze già consentono, tuttavia, una comprensione più approfondita sull’utilizzo dei meccanismi infettivi e di risposta immunitaria indotti dal coronavirus per sconfiggere alcune neoplasie.
Alessia Maria Cossu, PhD Biogem
Un gruppo di ricercatori del King’s College di Londra, dell’Università degli studi di Trieste, e del Centro di Ingegneria Genetica e Biotecnologie (ICGEB) della stessa città, ha identificato la Niclosamide come farmaco in grado di trattare i pazienti Covid-19. Si tratta di un salicilanilide sintetico, sviluppato negli anni '50, approvato, all’epoca, contro l'infezione da tenia, e già in passato segnalato per la sua azione contro vari virus, incluso il SARS-CoV-2. Questa molecola sarebbe infatti in grado di bloccare gli effetti dannosi che la proteina spike di Sars-CoV-2 causa alle cellule polmonari dei pazienti, sopprimendo l'attività della proteina TMEM16. Nel polmone dei pazienti Covid-19 gli pneumociti (cellule che costituiscono l’epitelio degli alveoli polmonari) risultavano infatti alterati da un punto di vista morfologico e polinucleati, generando dei sincizi a partire dall’attivazione della proteina Spike. Dunque, è proprio la proteina Spike a generare queste cellule anomale, attraverso la fusione delle cellule infettate con quelle vicine.
Nel corso dello studio, gli esperti hanno previsto tre possibili meccanismi con cui Spike può attivare le proteine TMEM16: 1) direttamente sul gene S, espresso dalle cellule infette in cis; 2) come conseguenza del legame con il recettore ACE2, e successiva attivazione della proteasi in trans; 3) indirettamente, attraverso l'attivazione del rilascio di Ca2+. Per quanto riguarda l'interazione tra i livelli di Ca2+ e la proteina TMEM16, quest’ultima, attivata da Spike virale, sembrerebbe aumentare l'ampiezza dei segnali di calcio (Ca2+) spontanei che si vengono a generare a livello intracellulare. Ciò è in linea con i risultati precedentemente ottenuti, dai quali si evinceva che sia TMEM16A sia TMEM16F sono in grado di aumentare i segnali di Ca2+ intracellulari. L’attivazione della famiglia TMEM16, tramite la proteina Spike, sembrerebbe avere una specifica rilevanza per la patogenesi del Covid-19, in quanto potrebbe incidere in diversi processi, quali infiammazione, trombosi e disfunzione delle cellule endoteliali e alveolari.
La sperimentazione clinica è partita su 120 pazienti Covid-19 in India, ai quali si sta somministrando la niclosamide. I risultati sono attesi nei prossimi mesi.
Alessia Maria Cossu, PhD Biogem
Drugs that inhibit TMEM16 proteins block SARS-CoV-2 Spike-induced syncytia
Nel vivo della campagna vaccinale il genetista Giuseppe Novelli dell’Università “Tor Vergata” di Roma, con il contributo di Pier Paolo Pandolfi (Università di Torino e Università del Nevada), in collaborazione con l’Ospedale Bambin Gesù (Roma), con l’Istituto Spallanzani (Roma), con l’Università San Raffaele (Roma) e con diverse istituzioni internazionali, tra le quali le nord-americane Harvard, Yale, Rockfeller, Nih, Mount Sinai, Boston University, University of Toronto, e le francesi Inserm Parigi e Hôpital Avicenne, ha identificato una classe di enzimi denominata E3-ubiquitin ligasi, già utilizzata per altre patologie, e in grado di bloccare il virus SARS-CoV2 nelle cellule infettate, impedendo ulteriori contagi. Nel loro studio, Novelli e collaboratori hanno evidenziato una forte espressione di tali enzimi, come NEDD4 e WWP1, nei campioni dei pazienti infetti dal virus dei membri della famiglia di ligasi HECT-E3, evidenziando la capacità di interagire con la proteina SARS-CoV-2 Spike. In particolare, è stato mostrato il potente effetto antivirale dell’Indolo-3 Carbinolo (I3C), un NEDD4 naturale e WWP1 inibitore delle Brassicaceae, in grado di bloccare l'epidemia virale. L’I3C è un composto naturale che potrebbe essere utilizzato come antivirale contro l’infezione da SARS-CoV2. Queste stesse proteine svolgono un’azione simile anche per altri virus come l’Ebola.
Concludendo, IC3 bloccherebbe in vitro l’uscita e la moltiplicazione del virus dalle cellule infettate. Sono ancora in corso studi per testare l’efficacia di tale enzima come farmaco per prevenire la manifestazione dei sintomi gravi nei pazienti COVID-19.
Alessia Maria Cossu, PhD Biogem
Nell’ambito dell’emergenza sanitaria legata all’infezione da SARS-CoV2 è molto importante individuare trattamenti terapeutici volti a ridurre gli effetti acuti che il virus induce, in particolare a livello polmonare. A tal proposito, la Covid 19 Scientific Task Force del Grande Ospedale Metropolitano ‘Bianchi-Melacrino-Morelli’ di Reggio Calabria, in collaborazione con l'Università di Tor Vergata, ha evidenziato i significativi effetti terapeutici dell’adenosina, somministrata per via aerosolica ad alto flusso e bassa tensione di ossigeno, in pazienti ospedalizzati con danno polmonare infiammatorio correlato al Covid 19. L’adenosina (9-β-D-ribofuranosiladenina) è una molecola endogena, antinfiammatoria, prodotta in seguito a morte cellulare dopo la degradazione di adenosina trifosfato (ATP) mediante specifici enzimi; essa è in grado di spegnere l’infiammazione e indurre i necessari processi di riparazione dei tessuti danneggiati. Nei pazienti Covid 19, in cui si verifica probabile ischemia, si ha la morte delle cellule polmonari che, liberando ATP azionano il processo infiammatorio e innescano una cascata citotossica. Nel polmone la capacità fisiologica dell'ossigeno di inibire la formazione di adenosina non consente di contrastare il processo infiammatorio. Ad oggi, i pazienti sono trattati con diversi farmaci quali il Tocilizumab, il Canakinumab, il Junus Kinase inhibitor o il cortisone, ma la loro efficacia non è supportata da sufficienti prove scientifiche. Generalmente, l’adenosina è somministrata per via endovenosa, ma può causare effetti collaterali a livello cardiaco. I dottori Pierpaolo Correale (Direttore UOC di Oncologia Medica, Azienda ospedaliera Bianchi-Melacrino-Morelli di Reggio Calabria), e Massimo Caracciolo (Responsabile UOSD Terapia Intensiva Postoperatoria- Azienda ospedaliera Bianchi-Melacrino-Morelli di Reggio Calabria), in collaborazione con il dottore Sebastiano Macheda (Responsabile UOC Anestesia Rianimazione- Azienda ospedaliera Bianchi-Melacrino-Morelli di Reggio Calabria), per ovviare all'effetto negativo legato alla modalità di somministrazione della molecola, hanno ipotizzato di introdurre il farmaco per via aerosolica, così da localizzarlo solo a livello polmonare. Gli studi pubblicati, “Therapeutic effects of adenosine in high flow 21% oxygen aereosol in patients with Covid-19- pneumonia“, sulla rivista Plos One, e “ Efficacy and effect of inhaled adenosine treatment in hospitalized Covid-19 patient”, accettata su Frontiers in Immunology, (che vede anche Biogem tra i partner scientifici) hanno fornito un'analisi retrospettiva di pazienti ospedalizzati con danno polmonare infiammatorio correlato al Covid 19, trattati con adenosina nebulizzata. Lo scopo del loro studio è stato ripristinare la segnalazione dei recettori dell'adenosina A2 e, quindi, di garantire nuovamente la protezione del tessuto polmonare sano, anche in presenza di ossigenazione continua. A tal proposito, sono stati reclutati pazienti ospedalizzati, con un'età media compresa tra i 19 e i 57 anni, positivi all'espressione di SARS-Cov-2 ed autorizzati a ricevere un trattamento salva vita off-label con adenosina inalata, erogata mediante l’utilizzo di un dispositivo ad alto flusso, al 21% di O2. Alcuni di questi pazienti avevano ricevuto, in precedenza, un trattamento con diversi farmaci ma senza trarne beneficio. Inoltre, i risultati ottenuti sono stati confrontati con un gruppo controllo di pazienti ospedalizzati non trattati con adenosina, ma che avevano analoghe caratteristiche. Nello specifico, il trattamento con adenosina consisteva nella somministrazione del farmaco mediante aerosol (9 mg di adenosina, Krenosin) ogni 12 ore per le prime 24 ore, e ogni 24 ore per 4 giorni. È stato ipotizzato che l'adenosina, somministrata in condizioni di ipossia e per via aerosolica, potrebbe avere effetti positivi relativi all'omeostasi del processo infiammatorio, quali: i) ripristinare un'adeguata risposta immunitaria virus-specifica, precedentemente attenuata dalla tempesta infiammatoria; ii) esercitare un effetto anti-virale diretto sull'ospite mediato lungo la via A2R; iii) convertire l'adenosina intracellulare in metaboliti pro-apoptotici (come deossi-adenosina / deossi-ATP) in alcune cellule infette (quest'ultima caratteristica dovrebbe essere approfondita in studi futuri). In questa luce, vi è un'ampia concordanza sul fatto che il danno meccanico al polmone associato alla ventilazione attiva può essere affiancato al danno polmonare indotto da SARS-CoV-2.
I risultati clinici del trattamento sono stati molto promettenti, considerando che i sintomi dei pazienti, tra i quali insufficienza respiratoria grave, febbre, astenia, cefalea, sono diminuiti entro quattro giorni dall'inizio della cura. Gli effetti positivi del farmaco sono stati supportati anche da uno studio di imaging radiologico, i cui risultati hanno mostrato un significativo miglioramento dei segni di polmonite interstiziale polmonare. Sulla base di tali dati, l'intuizione dei dottori Correale, Caracciolo e Macheda sulla somministrazione di adenosina aerosolica indirizzata direttamente al polmone, potrebbe portare ad un rapido miglioramento delle condizioni generali dei pazienti.
Alessia M Cossu, PhD Biogem
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