ll 27 dicembre 2020, dopo l'approvazione da parte dell'EMA (European Medicines Agency), è partita in Italia e in Europa la campagna di vaccinazione anti-COVID-19. L’obiettivo della campagna vaccinale è quello di simulare il primo contatto con l’agente causale della malattia che vuole prevenire, stimolando il sistema immunitario a reagire contro gli antigeni specifici del patogeno, e inducendo una immunizzazione attiva. Non sorprende, tuttavia, che la vaccinazione possa portare a reazioni locali e sistemiche, come il dolore o la febbre, a causa dell’infiammazione, necessaria per attivare la risposta immunitaria. I vaccini sono preparati utilizzando diversi metodi, come: l’attenuazione; l’inattivazione; e altre tecnologie. Vengono inoltre somministrati con modalità diverse. Le principali piattaforme utilizzate, come riportato dall’Istituto Superiore di Sanità, sono le seguenti:
- Vaccini virali inattivati: prodotti coltivando il virus SARS-Cov-2 in colture cellulari e inattivandolo chimicamente.
- Vaccini vivi attenuati: versione geneticamente indebolita del virus che si replica in misura limitata
- Vaccini proteici ricombinanti: basati sulla proteina spike, o sulla receptor binding domain (RBD), o su particelle simili a virus (VLP).
- Vaccini a vettore virale: basati su un virus esistente (adenovirus) incompetente per la replicazione, che trasporta la sequenza del codice genetico che codifica per la proteina spike.
- Vaccini a DNA: basati su plasmidi, modificati in modo da trasportare geni che codificano per la proteina spike.
- Vaccini a RNA: basati su RNA messaggero (mRNA) o un RNA autoreplicante, che fornisce l’informazione genetica per la proteina spike.
A causa delle scarse forniture di vaccini COVID-19 e degli effetti collaterali imprevisti, alcuni Paesi hanno adottato una particolare strategia. Ad oggi sappiamo che la maggior parte dei vaccini autorizzati (Pfizer/BioNTech, Moderna, AstraZeneca) richiede due dosi somministrate a settimane o mesi di distanza, mentre il vaccino Janssen (Johnson & Johnson) prevede una sola somministrazione. Pfizer/BioNTech e Moderna si basano sulla tecnologia a RNA messaggero (mRNA), mRNA codificante per la proteina spike del virus SARS-CoV-2. AstraZeneca punta, invece, su un vettore virale, che utilizza una versione modificata dell’adenovirus dello scimpanzé per sintetizzare la proteina spike di SARS-CoV-2. Janssen prevede, infine, un vettore virale, con utilizzo di adenovirus attenuato (Ad26). In tre recenti studi in preprint su note riviste scientifiche, i ricercatori hanno scoperto che dopo una dose del vaccino prodotto da AstraZeneca (ChAdOx1-S) con una dose del vaccino Pfizer-BioNTech (BNT162b2) si determinano forti risposte immunitarie, misurate attraverso test su campioni di sangue. Due degli studi suggeriscono, addirittura, che la risposta al vaccino misto sarà protettiva almeno quanto due dosi del prodotto Pfizer-BioNTech, uno dei vaccini COVID-19 più efficaci. Gli scienziati hanno condotto studi clinici di fase 2, randomizzati e controllati su un gruppo di adulti volontari. Nel caso dello studio condotto da Alberto M Borobia e Antonio J Carcas, guidato da Cristóbal Belda-Iniesta, a Madrid, gli autori hanno arruolato adulti di età tra i 18 e i 60 anni. Gli individui erano stati vaccinati con una singola dose di ChAdOx1-S tra le 8 e le 12 settimane prima della visita di screening, senza alcuna storia di infezione precedente da SARS-CoV-2. I partecipanti allo studio erano stati assegnati in modo casuale (2:1) a ricevere BNT162b2 (0,3 ml, con iniezione intramuscolare). Gli esiti primari mostravano reattogenicità ai vaccini di 7 giorni e 14 giorni di risposta all’ antispike, con produzione di IgG, misurata mediante test immunologici che coprivano la proteina spike trimerica SARS-CoV-2 e il dominio di legame al recettore (RBD). Lo studio spagnolo ha aiutato a condurre 448 persone che avevano ricevuto 8 settimane prima una dose iniziale di AstraZeneca alla seconda dose del vaccino Pfizer-BioNTech, riportando pochi effetti collaterali, e una forte risposta anticorpale due settimane dopo la seconda iniezione. Allo stesso modo, Leif Erik Sander, un esperto di malattie infettive presso l'ospedale universitario Charité di Berlino, ha condotto uno studio, insieme ad alcuni colleghi, su 340 individui del personale sanitario. I partecipanti allo studio hanno ricevuto due dosi di BNT162b2 a tre settimane di distanza, o una dose iniziale di ChAdOx, seguita da un boost eterologo con BNT162b2 10-12 settimane dopo, in conformità con le raccomandazioni del comitato permanente tedesco sulla vaccinazione (STIKO). I campioni di sangue per il rilevamento degli anticorpi specifici per SARS-CoV-2 e della risposta dei linfociti T sono stati raccolti immediatamente prima della prima vaccinazione e da tre a quattro settimane dopo la prima e la seconda vaccinazione.
Un altro team che ha condotto uno studio più piccolo a Ulm, in Germania, ha ottenuto risultati comparabili su una corte più limitata (26 individui con età compresa tra i 25 e 46 anni, che avevano ricevuto dapprima ChAdOx1, e, successivamente, BNT162b2). I titoli anticorpali sono aumentati significativamente nel tempo, riscontrando forti titoli di neutralizzazione due settimane dopo il boost di BNT162b2. Le cellule T CD4+ e CD8+ hanno reagito allo stimolo del peptide spike SARS-CoV-2 due settimane dopo la vaccinazione completa. Ancora più incoraggiante è stato scoprire che le cellule T degli individui coinvolti nello studio possono aumentare la risposta anticorpale e anche aiutare a liberare il corpo dalle cellule già infette. Hanno risposto leggermente meglio al picco rispetto ai destinatari Pfizer-BioNTech completamente vaccinati. Entrambi i gruppi tedeschi hanno pubblicato preprint sul server medRxiv.
Alessia Maria Cossu - PhD-Biogem