I protagonisti delle due culture

    Giovanni Villani

    Giovanni Villani

    Ricercatore del CNR dal 1988, si è occupato principalmente di chimica quantistica, sia sviluppando e applicando nuove metodologie di chimica computazionale sia studiando la dinamica quantistica in sistemi di interesse biologico e, in particolare, nel DNA. Si è sempre interessato alle problematiche connesse agli aspetti generali-culturali e didattici della chimica. Ha pubblicato, tra l’altro, circa 150 lavori su riviste internazionali e 6 libri generali sulla chimica (in larga parte accessibili al sito https://cnr-it.academia.edu/GiovanniVillani). A ciò si aggiungono diverse pubblicazioni in rete, alcune delle quali di notevole successo (oltre 100mila visualizzazioni).
    Già presidente della Divisione Didattica della Società Chimica Italiana (SCI), è oggi coordinatore del Gruppo Interdivisionale “Epistemologia e Storia della Chimica” e vicedirettore della rivista ‘La Chimica nella scuola’. Ha organizzato convegni e corsi sulle problematiche culturali in ambito chimico, collaborando con istituzioni scientifiche pubbliche e private internazionali. Ha partecipato ad eventi di divulgazione scientifica, come il Festival della Scienza di Genova, il Festival della Chimica di Potenza, Pianeta Galileo della Regione Toscana, Street Science (L’Aquila), oltre che ad attività culturali di molti musei scientifici.


    Dottore, la sua prestigiosa carriera ha avuto come costante caposaldo il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche). Lo fa conoscere meglio ai nostri lettori?

    Il CNR è il più grosso Ente di Ricerca italiano, ma nonostante questo, è ampiamente sottodimensionato rispetto, per esempio, al quasi omonimo ente francese, il CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique) in un rapporto di 1/5 per ricercatori e tecnologi a tempo indeterminato. Il CNR è articolato in sette dipartimenti, a cui afferiscono un centinaio di istituti, raggruppati in aree di ricerca. È quindi evidente che la situazione specifica dei ricercatori del CNR è molto variegata e, conseguentemente, ha poco senso parlarne in generale. Dal mio particolare punto di osservazione, ho potuto notare, negli ultimi anni, una riduzione dei fondi ordinari per i ricercatori e la limitazione dell’assegnazione di risorse ai soli progetti specifici e applicativi. Anche la multidisciplinarietà, che era una caratteristica degli istituti del CNR, si è ormai ridotta. 

     

    Alla ricerca ha spesso affiancato un’attività didattica per le scuole e per il grande pubblico. In Italia l’insegnamento pre-universitario della ‘sua’ chimica può considerarsi in salute?

    Accanto alla ricerca attiva in chimica, mi sono sempre occupato anche degli aspetti filosofici e storici di questa disciplina, che, secondo me, dovrebbero costituire un “patrimonio” personale di ogni chimico. Per molti docenti e per chi lavora nella scuola e nelle università, invece purtroppo, tali aspetti non sempre sono ritenuti fondamentali. Questa situazione mi ha portato ad avvicinarmi alla didattica e a lavorare, ormai da decenni, nei corsi di aggiornamento degli insegnanti in servizio e in quelli di formazione per i nuovi docenti. La didattica della chimica, come quella di tutte le discipline scientifiche, è attualmente insegnata in modo principalmente trasmissivo. Difficilmente, quindi, si fa apprezzare al discente il percorso storico, la conquista filosofica/culturale e la passione e creatività degli scienziati, alla base della ricerca scientifica.   

     

    E quello universitario?

    L’insegnamento universitario si muove su un binario strettamente tecnico. Credo che gli atenei italiani, ancora al top per l’insegnamento prettamente scientifico, siano invece carenti nello sviluppare gli aspetti generali, “la cornice in cui inquadrare” le conoscenze scientifiche. Non casualmente, molti studenti considerano ‘’arido’’ l’insegnamento della chimica.

     

    Quali sono le ‘scuole’ più prestigiose?

    In Italia non c’è una singola scuola di chimica più prestigiosa e/o punto di riferimento per le altre. Nel tempo e nello spazio ogni singola università ha sviluppato maggiormente determinate problematiche chimiche e si è, per così dire, “specializzata”. Per esempio, quando sono arrivato al Dipartimento di Chimica di Pisa, nel 1986, ho trovato una quantità e qualità di chimici quantistici che non era presente altrove. Oggi, probabilmente, non è più così.

     

    Ci regala una comparazione con il resto del mondo, non solo occidentale?

    Lo stesso discorso vale anche per la chimica nel mondo. All’inizio del XX secolo la nazione portante era la Germania, poi il primato è passato agli Stati Uniti e oggi si sta sviluppando ampiamente anche una chimica cinese.

     

    Marie Curie, forse il più grande scienziato di genere femminile di tutti i tempi, era più una fisica o una chimica?

    Maria Skłodowska, poi Curie, dopo il matrimonio con Pierre Curie, è una figura di scienziato, senza declinazione di genere, tra le più note e affascinanti anche fuori dall’ambito strettamente intellettuale e accademico. Credo che anche noi chimici dovremmo rivalutarla come parte integrante della nostra comunità. Non casualmente, Marie Curie ha vinto un Premio Nobel per la Fisica e uno per la Chimica. 

     

    Non tutti ricordano che lo scrittore Primo Levi era uno stimato chimico. Cosa ci può dire al riguardo?

    Primo Levi è noto come scrittore e solo parzialmente come chimico e questo sebbene non manchino suoi libri molto vicini alla chimica (come 'Il sistema periodico') e nonostante la chimica sia presente, praticamente, in ogni sua opera. Levi, nella sua eccezionalità, può essere considerato un buon esempio della storica separazione tra la cultura scientifica e quella umanistica (le famose “due culture”) e del tentativo recente di riunificarle. La sua opera è infatti considerata un anello di congiunzione tra questi mondi, il superamento di una separazione per lui priva di senso. Alcuni anziani chimici torinesi mi hanno tuttavia riferito che, mentre era in vita, Levi non era “tanto considerato e presente” all’interno del Dipartimento di Chimica del capoluogo piemontese. Era uno scrittore, un chimico dell’industria, non un “accademico”.

     

    Quali prospettive intravede per la coabitazione delle due culture?

    Credo che l’attuale situazione scientifica vada evolvendo verso una maggiore integrazione delle due culture e un piccolo esempio personale può chiarire il concetto. Quest’anno la Società Chimica Italiana si è infatti “munita di un nuovo strumento” di lavoro, il Gruppo Interdivisionale di Epistemologia e Storia della Chimica, per il quale sono stato eletto coordinatore. Fino a poco tempo fa, il termine epistemologia era considerato molto negativamente dagli scienziati. Oggi fa invece parte dell’organigramma della comunità dei chimici.

     

    Ci può fare qualche altro esempio?

    Ce ne sarebbero tanti. Attingendo ancora al mio percorso biografico, posso sottolineare di far parte, da chimico, del Collegio di Dottorato di Pisa/Firenze in Filosofia. Un piccolo, ma non trascurabile esempio di contatto tra i due mondi, residuale solo fino a poco tempo fa.

     

    Di Giulio Natta noi italiani sappiamo, mediamente, pochissimo.  Davvero è il padre della plastica?

    Giulio Natta dovrebbe essere conosciuto dalle persone colte perché è l’unico chimico italiano insignito del Premio Nobel e uno dei pochissimi scienziati del nostro Paese destinatario di questo onore. In realtà, è poco noto e, per di più, il suo nome, essendo spesso associato alla plastica, ha assunto, nel tempo, un’accezione non sempre positiva. Natta, in effetti, ha scoperto e brevettato alcuni catalizzatori per ottenere delle plastiche con caratteristiche “sorprendenti”. Per fare un discorso semplice e accessibile a tutti, questi catalizzatori consentono la ‘’costruzione’’ di un polimero molto ordinato, i cui pezzi sono disposti tutti nello stesso modo, conferendo proprietà speciali alle relative sostanze.

     

    Un’invenzione senza più futuro?

    Non saprei dirlo, ma, certamente, le sostanze che la stanno sostituendo sono configurabili anch’esse come “plastiche”, pur se biodegradabili dai batteri e, quindi, meno inquinanti.

     

    Quale ruolo ha la chimica nell’attuale, travolgente sviluppo delle scienze bio-genetiche e bioinformatiche?

    Il rapporto della chimica con la biologia e con la medicina ha una lunga storia. Anch’io me ne sono occupato sia con lavori specialistici sia con libri generali. Tale rapporto si è dimostrato particolarmente efficace per la natura stessa della spiegazione chimica, per “composizione” più che per “leggi di natura”. Oggi, la chimica costituisce il “linguaggio” preferenziale della biologia, della farmacologia e della medicina e ha portato scientificità in queste discipline percorrendo una strada diversa rispetto a quella matematica, seguita dalla fisica.

     

    E nella meccanica quantistica?

    Anche il rapporto della chimica con la fisica, e in particolare quello con la meccanica quantistica, è ampiamente consolidato. Per fare un esempio, oggi svolgo ricerche considerate parte della chimica quantistica perché utilizzo i modelli e i calcoli della meccanica quantistica al fine di capire e interpretare problemi sperimentali chimici.

     

    Prima di Mendeleev e della sua Tavola degli Elementi, cos’era la chimica?

    Oggi la Tavola Periodica di Mendeleev è l’immagine chimica più conosciuta, quasi la sua icona. Non c’è un posto in cui si faccia della chimica in cui manchi tale immagine appesa al muro. La sua prima versione è del 1869, ma non si deve pensare che sia stata una cesura, uno spartiacque per la chimica dell’Ottocento. Prima di tale Tavola, infatti, erano già stati fatti altri tentativi di dare un “senso di gruppo” agli elementi, mentre quella che utilizziamo oggi è intrisa di meccanica quantistica, inesistente all’epoca di Mendeleev.

     

    A proposito, che c’è di vero in merito alla natura quasi ‘soprannaturale’ della scoperta di Mendeleev?

    Tutte le scoperte scientifiche importanti sono state “mitizzate” e la Tavola Periodica di Mendeleev non ha fatto eccezione. Queste “storie” ad esse legate sono storicamente false, ma possono ‘’motivare gli studenti’’.

     

    Il piccolo chimico è uno dei giochi più popolari da decenni. Come mai non genera molti adulti appassionati?

    I giochi scientifici, come il piccolo chimico, hanno svolto, e possono ancora svolgere, un ruolo di motivazione per i giovani. Il fatto che, nonostante ciò, la chimica sia considerata “poco appassionante” lo possiamo legare alla sua ‘’immagine sociale’’, al suo legame con l’inquinamento. In realtà, la chimica odierna ha sviluppato una notevole attenzione alle problematiche ambientali e rappresenta lo strumento principale per combattere scientificamente l’inquinamento. L’alternativa a quest’azione utile della chimica è un astorico ritorno ad un mitico passato.

     

    Generalmente, cosa scoraggia e cosa appassiona della sua disciplina scientifica?

    Un ostacolo alla diffusione della chimica è la sua mancanza di generalizzazioni di facile comprensione o che, quanto meno, lascino vagare la fantasia. Non c’è nella chimica né l’evoluzione delle specie viventi della biologia né lo spazio curvo e l’antimateria della fisica. Il lavoro del chimico, tuttavia, dovrebbe appassionarci non poco, se riflettiamo sul fatto che consiste nel lavorare con le molecole senza vederle. Queste, infatti, sono “oggetti” così piccoli che una goccia d’acqua ne contiene mille miliardi di miliardi, un numero talmente grande da configurarsi come inimmaginabile. Eppure, lavorando con questi “minuscoli oggetti”, il chimico riesce a “costruire sostanze” essenziali in molti prodotti che usiamo comunemente.

     

    L’umanità quanto deve alla chimica?

    La chimica è la più “pratica” delle discipline scientifiche. Molti autori hanno mostrato che noi tutti abbiamo interazioni con la chimica da quando ci svegliamo, di mattina, e ci laviamo i denti con il dentifricio, fino a quando andiamo a letto, a fine giornata, vestendo pigiami sintetici. E questa considerazione, che vale anche quando siamo in salute, acquista maggiore rilevanza quando ricorriamo a sostanze chimiche per curarci.

     

    E Giovanni Villani?

    Devo tanto alla chimica. Ho giocato con il “piccolo chimico”, mi sono appassionato a questa disciplina per la sua profondità e duttilità e, infine, ho avuta la fortuna di poter lavorare nel suo ambito di ricerca, riflettendo sui suoi concetti chiave. Per me la chimica è stata, ed è ancora oggi, a distanza di decenni, oltre che un lavoro, un hobby.

     

    Ettore Zecchino


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